Lettera: i contratti che si rinnovano tacitamente

Lettera del 15 maggio 2002 di NN

Gentile redazione di proprietaricasa, vorrei innanzitutto complimentarmi con voi per la bella iniziativa.

Volevo tuttavia fare qualche considerazione su una delle tante tegole che si abbattono sistematicamente sui proprietari di case.

Voi avete pubblicato, tempo fa, un articolo dell'avv. Paolo Gatto, il quale sosteneva che i vecchi contratti di locazione, ad equo canone del tutto irrisorio, il cui termine ultimo per la disdetta scadeva dopo il 1999, si rinnovavano per altri 4 anni, o non per 4+4 anni come sostenuto dai sindacati degli inquilini.

Se vi fate un giro per la rete, troverete che, dopo un primo tempo successivo alla emanazione della 431/98 durante il quale si era detto che il riferimento dell'art. 2 comma 6 all'art. 2 comma 1 della legge 431/98 era parziale e non totale (pochi mesi, sufficienti affinchè i fessacchiotti che avevano ancora un immobile ad equo canone non inviassero disdetta), non appena i sindacati hanno concluso che il riferimento dovesse essere totale, TUTTI si sono convinti di questo. In pratica, solo voi siete rimasti a sostenere la tesi dei quattro anni.

Siamo a posto. In una legge di liberalizzazione delle locazioni, ci sarebbe una normuccia che dice che, se non mandi una tempestiva disdetta all'inquilino, lui acquisisce il diritto di stare a equo canone per altri otto anni, senza adeguamenti ISTAT, senza detrazioni fiscali per il proprietario (ti dò meno, non ti dò detrazioni fiscali, e te lo faccio stare anche di più!), a cui poi dovranno essere sommati i tempi di sfratto (credo che la mia casa me la posso scordare)....

Pensate al caso di coloro che avevano contratti in scadenza il 2 giugno 1999: la legge entrava in vigore il 31 Dicembre 1998, ed il termine ultimo per la disdetta era il 2 gennaio 1999: il proprietario aveva due giorni per impedire un simile scempio?

La verità pura e semplice, è che i proprietari in Italia non hanno il benchè minimo diritto. Perchè, a differenza del SUNIA, che attraverso i suoi legami con la triplice, è riuscito sempre a farsi rispettare sul terreno politico, le associazioni dei proprietari non sono mai state capaci di opporre alcunchè. Non sono state capaci di lottare. Carne da macello, ecco che cosa siamo!

Quando si vuole fare una norma che danneggi la proprietà si fa: hanno tolto l'equo canone mettendo i patti in deroga, ma con il sistema che l'inquilino, se non accettava il nuovo canone aveva diritto a 2 anni di proroga, con il risultato che spesso i patti in deroga con l'inquilino "dentro" erano il frutto di compromessi meschini; hanno liberalizzato il mercato delle locazioni, ma con questo escamotage hanno finito per far sì che i vecchi inquilini potranno usufruire dell'equo canone per sempre; il SUNIA, in occasione dell'ultimo sciopero della CGIL, ha chiesto a Cofferati di lottare con loro per l'abolizione dello sfratto per finita locazione (già si era tentato con Rifondazione durante le discussioni alla Camera per la 431/98); non si può fare il libretto di fabbricato per legge nazionale? Ed allora vuol dire che lo faremo per legge regionale. Gli amministratori vogliono l'albo: naturalmente si farà! Si noti che nessuno pensa a fare ciò che realmente sarebbe necessario per tutelare la proprietà (ossia riformare l'art. 1137 C.C. e l'art. 63 DD.AA., oltre a progettare precise procedure per la manutenzione straordinaria studiate per impedire all'amministratore di speculare sulle manutenzioni straordinarie): si pensa a risolvere con l'albo!

E' i risultati si vedono tutti. Non c'è solo un problema di leggi. C'è anche un problema di interpretazione delle stesse leggi. Non ha senso andare da un giudice che sa che l'interpretazione di ogni norma è corretta purchè fregato ci vada il proprietario.

Torniamo al caso dell'art. 2 comma 6 della legge 431/98. Esso recita che "i contratti, STIPULATI PRIMA DELLA DATA DI ENTRATA IN VIGORE DELLA PRESENTE LEGGE E CHE SI RINNOVINO TACITAMENTE, sono disciplinati dall'art. 2 comma 1". Quindi, sono ancora i contratti originari ad essere disciplinati dalla vecchia normativa. Se il contratto è stato stipulato nel 1991, la prima scadenza cade nel 1995, la seconda scadenza nel 1999, la terza nel 2003. Siccome l'art. 2 comma 1 afferma che "Le parti possono stipulare (e non rinnovare) contratti della durata di quattro anni, decorsi i quali (ossia i quattro anni dalla stipulazione del nuovo accordo), i contratti sono rinnovati per ulteriori quattro anni, salvi i casi (...) dell'art. 3 (...). Alla seconda scadenza DEL CONTRATTO...." appare abbastanza chiaro che il rinnovo automatico per legge è subordinato ad una condizione sine qua non: che siano decorsi quattro anni dalla stipula. Il proprietario che ha affittato l'immobile 12 anni prima, non rientra in questa condizione, e quindi dovrebbe essere in grado di dare lo sfratto per finita locazione. Non solo. Guarda caso, tutti i commentatori della tesi 4+4, che già sono diventati "dottrina", evitano di parlare dell'art. 3 della 431/98. L'art. 3, stranamente, dice che: "Alla prima scadenza dei contratti STIPULATI AI SENSI DELL'ART. 2 COMMA 1 E 2 COMMA 3" escludendo chiaramente la fattispecie dei vecchi contratti che, come li definisce lo stesso legislatore nell'art. 2 comma 6, sono stati stipulati nella previgente normativa.

Ed allora che si fa? Come può l'inquilino con i sindacati prendere ancora una volta in giro il suo proprietario? Semplice, hanno inventato un nuovo concetto giuridico: la stipulazione di nuovo accordo senza comportamento attivo tra le parti. In pratica hanno detto che il contratto vecchio, nel momento in cui entra nella nuova normativa, non è una prosecuzione di un rapporto già intrapreso e più volte rinnovato. Ci hanno raccontato che è a tutti gli effetti un nuovo contratto che nasce tra le parti. Il proprietario, non inviando la disdetta, vuole stipulare un nuovo accordo per 4 anni + 4 anni. L'inquilino, non inviando disdetta (mica è stupido!) concorda con il proprietario. Le parti stipulano un nuovo accordo negoziale, soggetto alla disciplina dei 4 anni + 4 anni. Tutto a posto, se non ci fosse un MA. Il MA sta nel fatto che la legge, imponendo la forma scritta per la stipula dei nuovi contratti di locazione, ha esplicitamente escluso che si possano stipulare contratti verbali... figuriamoci un comportamento in cui la stipula avviene "tacitamente". Tanto vero che, se le parti vogliono accordarsi con un nuovo accordo, sostituente il precedente, è prevista la forma scritta a pena di nullità.

Ed ecco allora a cosa siamo arrivati. In pratica, l'inquilino è simile a quel signore che voleva la botte piena e la moglie ubriaca. Gli piace la stabilità contrattuale tipica dei NUOVI contratti (per la quale gli altri inquilini, quelli che pagano un vero canone libero, sborsano milioni), ma nello stesso tempo vuole i vantaggi dei VECCHI contratti a regime vincolistico.

Si dirà che la colpa è del proprietario che non invia disdetta. Ma il proprietario, come ho mostrato prima, con quella legge ha avuto pochissimo tempo per mandare la famosa disdetta, non tenendosi in alcun conto nella 431/98 le scadenze dei vecchi contratti (se l'intenzione era quella, perchè non dare due anni di proroga, e fare una campagna stampa in modo che tutti i proprietari fossero informati? Una cosa tipo: "Dai la disdetta al tuo inquilino, sennò lui sta per altri 8 anni a casa tua ad equo canone.") E poi, parliamoci chiaro. In un paese normale, i proprietari fanno i proprietari, non delle persone che dovrebbero vivere, respirare, lavorare solo per vedere quale sopruso, norma penalizzante, vantaggio per l'inquilino, proroga, furto subdolo dell'immobile, si è inventato il legislatore oggi! Il proprietario dovrebbe fare il proprietario, non il soldato in una trincea. D'altra parte, se gli stessi commentatori si divisero, all'uscita della 431/98, sull'interpretazione dell'art.2 c.6, cosa potrebbe fare il privato cittadino nei primi mesi di vita della nuova legge, se non, al massimo, consultare un avvocato (che data la mancanza di giurisprudenza ne sa sovente meno del cliente) ?

Saluti

Uno dei tanti proprietari di case stufo di subire.