Il certificato di collaudo statico: valore documentale, contrattuale e d'evidenza pubblica, anche in rapporto alla normativa antisismica.
Per le costruzioni in conglomerato cementizio armato o a struttura metallica l'art. 67 T.U. 380/2001, nel solco della Legge 5 novembre 1971 n. 1086, artt. 7 e 8, prevede il rilascio del collaudo statico, la cui redazione spetta ad un professionista abilitato (il collaudo deve essere eseguito da un ingegnere o da un architetto, iscritto all'albo da almeno dieci anni, che non sia intervenuto in alcun modo nella progettazione, direzione ed esecuzione dell'opera, e la nomina del collaudatore spetta al committente).
Esso è emesso alla conclusione dei lavori ed è uno dei documenti da presentare allo sportello unico comunale per il rilascio del certificato di agibilità, così come stabilito dall'art. 25 del T.U. Edilizia, sopra citato.
Il certificato di collaudo statico si compone di una descrizione architettonica-volumetrica dell'edificio e di una descrizione più dettagliata riguardante le strutture che compongono l'edificio stesso (strutture verticali, orizzontali e fondazioni), segue una sezione in cui vengono specificati i materiali impiegati e tecnologie con cui sono stati realizzati tutti gli elementi strutturali e le loro portate occidentali (ossia i carichi e i pesi che possono sopportare le strutture durante le fasi di utilizzo). Altro aspetto di cui si compone il certificato di collaudo statico, come noto, è la descrizione delle prove eseguite dal collaudatore. Infine, vi è la dichiarazione del collaudatore, che certifica l'avvenuto collaudo in conformità alle leggi vigenti alla data di emissione dello stesso.
Si prospetta come d'immediata deduzione, a parere di chi scrive, la strettissima connessione tra la "dichiarazione di scienza" contenuta nell'anzidetto collaudo statico e la vigilanza sul rispetto della normativa antisismica (tanto più importante in un paese quale l'Italia, caratterizzato da morfologia ed orografia foriere di eventi cataclismatici), in ultimo disciplinata dal Decreto ministeriale n. 29851 del 14 gennaio 2008 e s.m.i.
Come prima accennato, il certificato di collaudo deve essere presentato allo sportello unico edilizia del Comune competente, quale fase del procedimento amministrativo volto al rilascio del certificato di agibilità.
Il rispetto della procedura per il rilascio di tale certificato, con tutta evidenza, ha importanti ripercussioni sul piano della circolazione degli immobili, ed al collaudo si possono senz'altro estendere le considerazioni più ampie valevoli per la certificazione d'agibilità/abitabilità, così come oggi disciplinata dal T.U. Edilizia.
La giurisprudenza considera il certificato di agibilità elemento "indispensabile ai fini della piena realizzazione della funzione del contratto" (Cfr. Cass., Sez. II, 10 giugno 1991, n. 6576; Cass., Sez. II, 27 novembre 2009, n. 25040).
La conseguenza che il consolidato orientamento giurisprudenziale trae da tale asserzione è la possibilità per il promissario acquirente dell'immobile, sprovvisto di certificato di agibilità, di agire per la condanna della controparte per il risarcimento dal danno patito. In altri termini, "il venditore di un bene immobile destinato ad abitazione ha l'obbligo di dotare tale bene della licenza di abitabilità, senza la quale esso non acquista la normale attitudine a realizzare la sua funzione economico-sociale, e tale requisito giuridico, essenziale ai fini del legittimo godimento e della commerciabilità del bene, non può essere sostituito dalla definizione della pratica del condono, in quanto chi acquista un immobile - salvo si sia reso espressamente edotto della esistenza di qualche problema amministrativo o urbanistico - ha diritto alla consegna di un immobile in tutto conforme alle leggi, ai regolamenti ed alla concessione edilizia e per il quale sia stata rilasciata la licenza di abitabilità; conseguentemente, la mancata consegna della medesima implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile configurabile anche nel solo fatto di aver ricevuto un bene che presenta problemi di commerciabilità" (Cass., Sez. II, 19 luglio 1999, n. 7681).
In una pronuncia più recente la Suprema Corte ha ritenuto che la mancanza del certificato di abitabilità dell'immobile alla data fissata per la stipula del rogito notarile costituisse un fatto impeditivo al trasferimento della proprietà dell'immobile, nonché inadempimento grave ritenendo legittima la risoluzione del contratto preliminare e la condanna del promittente venditore al pagamento del doppio della caparra (Cfr. Cass, Sez. II, 4 dicembre 2006, n. 25703).
Si deve evidenziare, infine, che nel silenzio pattizio l'obbligo di provvedere al rilascio del certificato di agibilità è in capo all'alienante (Cfr. Cass., Sez. II, 17 dicembre 1993, n. 12507; Cass., Sez. II, 4 novembre 1995, n. 11521; Cass., Sez II, 27 novembre 2009, n. 25040).
In ultimo, merita senz'altro una doverosa segnalazione la sentenza n. 14812 del 4 giugno 2008, con cui la Corte di Cassazione Civile, Sezione II, ha ritenuto applicarsi l'art. 1669 Codice Civile al mancato rispetto della normativa antisismica, ritenendo che l'obbligatorietà dell'osservanza di dette prescrizioni si risolva in una presunzione normativa non soltanto di sufficienza, ma di necessità di conformare ad essa l'attività edificatoria, per prevenire il pericolo immanente, in zona sismica, che le opere possano collassare o subire danni che, oltre a pregiudicare la statica o la funzionalità, mettano a repentaglio la vita umana. L'appaltatore, al pari degli altri soggetti (progettista, direttore dei lavori, collaudatore se diverso dai primi, eventuali subappaltatori) che abbiano contribuito alla costruzione del fabbricato, dovrà rispondere, per dieci anni dall'ultimazione dello stesso, dei vizi accertati, tra i quali il sopraddetto mancato rispetto della normativa antisismica.
Avv. Alberto Rinaldi
Avv.alberto.rinaldi@rinaldilex.it
Dello stesso autore: Certificazione di agibilità