Secondo la Cassazione (Sent. n. 16832 del 20/07/2009), il regolamento di condominio deve formulare le clausole limitative del diritto di proprietà dei singoli condomini in modo espresso ed inequivoco, in modo da non lasciare alcun margine d'incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni; trattandosi di materia che attiene alla compressione del diritto di proprietà, i limiti devono risultare da espressioni incontrovertibilmente chiare e non possono dare luogo ad interpretazioni estensive.
Il nostro ordinamento disciplina il regolamento di condominio all'art. 1138 del Codice Civile; la legge dispone che detto regolamento, obbligatorio negli stabili con più di dieci condomini e approvato a maggioranza qualificata (maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino la metà dei millesimi) disciplini, per lo più, l'uso della parti comuni, il decoro e le norme sulla gestione, con divieto di violazione o compromissione dei diritti dei condomini.
Accanto a detto regolamento e, storicamente, più risalente, la legge riconosce la legittimità del regolamento cd. contrattuale, approvato all'unanimità dai condomini ovvero richiamato nei singoli atti di acquisto in quanto imposto dal costruttore; il regolamento contrattuale, a differenza di quello assembleare di cui all'art. 1138 c.c., può non solo limitare i diritti dei condomini sulle parti comuni, ma anche limitare l'uso delle stesse proprietà esclusive, ad esempio inibendo lo svolgimento di particolari attività commerciali o professionali o determinate condotte.
Nel caso in questione, il regolamento vietava espressamente che gli immobili dello stabile potessero essere adibiti a varie attività, tra le quali quella di "locanda"; la Corte d'Appello di Roma aveva ritenuto estendere la clausola anche alla "osteria" considerandola attività lesiva della tranquillità nello stabile e la Cassazione ha censurato la decisione in base ai criteri sopra riportati; il principio della S.C., pertanto, va nel senso che le clausole limitative delle facoltà del proprietario debbano essere espresse e non possano essere interpretate estensivamente.
In relazione al regolamento contrattuale nonostante sussista, tra i più, la convinzione che non sia modificabile che con l'unanimità dei consensi, in realtà la Cassazione (da ultimo, Sent. 14/08/2007 n. 17694) è orientata nel senso che solo le clausole di natura contrattuale (contenenti divieti, limiti, oneri reali, obbligazioni propter rem e diritti reali) necessitino dell'unanimità mentre per le altre clausole relative a materie contenute nell'art. 1138 c.c. (decoro, norme sull'amministrazione ecc.) sia sufficiente la maggioranza qualificata ancorché le clausole stesse siano contenute in regolamento di origine contrattuale.
Un'ultima considerazione in relazione al regolamento ci perviene dalla modifica del Codice di Procedura Civile; è un fatto noto che le condotte non sono mai eseguibili attraverso una pronuncia giudiziale e ciò è vero soprattutto in relazione ad obblighi e divieti contenuti nei regolamenti di condominio; ebbene il nuovo art. 614 bis dispone che il Giudice, nel caso di decisione su prestazioni infungibili, debba prevedere, quale misura sanzionatoria, il pagamento di una somma a carico del condannato in caso di inosservanza o ritardo nell'esecuzione del provvedimento; detta novella potrà consentire una cogenza maggiore delle regole nel condominio per le quali, fino ad oggi, non esisteva garanzia di ottemperanza o sanzione.