Il principio "nemo res sua servit" è stato più volte invocato, in ambito condominiale, allo scopo di negare che, all'interno della disciplina, potessero ipotizzarsi servitù tra i comproprietari.
Una delle prime teorie circa il fondamento giuridico del condominio sosteneva, infatti, che la fattispecie condominiale fosse fondata su “servitù concorrenti” dove i fondi serventi fossero costituiti dalle parti comuni ed i fondi dominanti dalle proprietà esclusive. Tale orientamento dottrinale non è stato recepito dalla giurisprudenza, che ha optato per il principio secondo il quale il condominio fosse costituito da una comunione.
Tale principio inizialmente negato, peraltro, è stato mitigato da alcune pronunce secondo le quali le servitù nel condominio fossero ipotizzabili qualora il bene comune fosse utilizzato da uno o più condomini per una destinazione inconciliabile con quella attribuita, per apparenza o per contratto, dal costruttore.
Il suddetto orientamento rileva, soprattutto, in materia di innovazioni vietate; allorché un condomino apporti un'innovazione sulle parti comuni, a favore della propria unità immobiliare, la suddetta modifica sarà ritenuta rientrare tra le facoltà di cui all'art. 1102 c.c., qualora non sia incompatibile con l'uso della parte comune sulla quale incide (non ne renda più incomodo l'uso agli altri condomini) in caso contrario si ricade nell'ipotesi di innovazioni vietate, in quanto innovazioni suscettibili, nel tempo, di costituire, per usucapione, nuove servitù sulle parti comuni.
Gran parte delle controversie giudiziarie, negli ultimi anni, ha avuto quale oggetto proprio tale questione, soprattutto in relazione ai fondi già commerciali, trasformati in autorimesse in quanto più appetibili dal punto di vista commerciale.
Qualora, infatti, la trasformazione dell'ingresso del fondo da pedonale a carrabile non incida su una parte comune (sbocco suolo pubblico) non ci sono problemi, ma quando la trasformazione incide su parti comuni (piazzali, marciapiedi, giardini) c'è il rischio dell'innovazione vietata.
I giudici di merito presentano orientamenti contrastanti anche all'interno delle stesse corti; costituisce, infatti, una valutazione di fatto l'apprezzamento se l'innovazione incida negativamente sulla parte comune.
Una recente sentenza della Cassazione, Sent. n. 54 del 03/01/2014, ha stabilito che costituisce innovazione vietata l'apertura di un accesso veicolare su un'area destinata a "prato", la cui limitazione, attraverso il passaggio veicolare, ne avrebbe compromesso la natura.
La modifica, pertanto, deve ritenersi legittima qualora il passo carrabile insista su: aree pubbliche (nel qual caso sarà solo una questione di tassa comunale) su aree private già deputate al transito veicolare (strade private, rampe di accesso ad altre autorimesse già esistenti), ovvero su cortili senza alcuna destinazione specifica; costituirà, al contrario, innovazione vietata l'intersezione carrabile di marciapiedi condominiali (funzionalmente predisposti al passo pedonale), di giardini, parcheggi e di tutte le aree che presentino manufatti incompatibili con il transito veicolare.
La suddetta pronuncia rischia di costituire una forte limitazione alla trasformazione di fondi già commerciali in autorimesse e, di conseguenza, rischia di avere un forte impatto socio-economico. Negli ultimi anni, infatti, il decremento dei prezzi degli immobili, soprattutto commerciali, ha spostato gli investimenti verso le autorimesse e questo orientamento può rappresentare un grosso ostacolo.