Non esiste la “servitù di parcheggio”, ma chi intende vantare il diritto di parcheggiare deve necessariamente dimostrare la proprietà del terreno e, qualora agisca in sede possessoria o per usucapione, deve allegare e dimostrare il possesso idoneo all'esercizio del diritto di proprietà.
Così si è espressa la Cassazione con la sentenza n. 15334 del 13/09/2012, negando che i proprietari di beni immobili potessero agire in via possessoria sostenendo di esercitare un diritto di servitù su terreno appartenente ad un terzo, secondo il principio che i loro fondi avrebbero rappresentato il “fondo dominante”.
L'azione possessoria (azione di integrazione e di manutenzione nel possesso) si configura quale rimedio cautelare (per lo più temporaneo) diretto a mantenere la situazione di fatto.
Al fine di ottenere il rimedio possessorio non è necessaria l'esistenza del diritto, ma è sufficiente l'esercizio del possesso corrispondente ad un diritto reale; in altri termini il giudice non entra nel merito se esiste o meno il diritto, ma valuta solo se vi sia stata azione violenta o clandestina nel negare una situazione di possesso ancorché illegittima e ciò al fine di evitare che i cittadini ricorrano ad azioni di forza per tutelare i propri diritti.
Nella specie, la Cassazione ha avuto modo di sostenere che, ai fini del riconoscimento della tutela della reintegrazione nel possesso è sufficiente un possesso qualsiasi, anche illegittimo o abusivo che deve, però, corrispondere al modello di un diritto reale; il parcheggio, per la Suprema Corte, non costituisce una servitù atteso che è esercitato personalmente e non è prediale (ovvero dipendente da un fondo) mentre la predialità è elemento necessario per l'esercizio del diritto di servitù.
Invero, è del tutto irrilevante che coloro che vantano una situazione giuridica di parcheggio siano proprietari di appartamenti in un condominio (e, sulla base di detta comodità, pretendano di esercitare una servitù di parcheggio) atteso che il parcheggio non può valutarsi come una utilità al proprio fondo, bensì un vantaggio personale e ciò implica che l'attività deve corrispondere a quella del proprietario.
La pronuncia riveste particolare importanza in quanto l'ipotesi del costruttore che si riserva la proprietà di spazi limitrofi agli edifici di sua costruzione, senza cederla ai condòmini acquirenti delle unità immobiliari, costituisce una fattispecie ricorrente; così come è ricorrente la circostanza che detti distacchi rimangano incustoditi e che siano utilizzati dai condomini che, talvolta, vi eseguano delle opere e, in seguito, ne vantino l'usucapione per possesso ventennale.
Ebbene, coloro che intenderanno proporre azioni possessorie o azioni per usucapione dovranno agire quali soggetti singoli, senza tenere conto di alcun legame funzionale tra la loro unità abitativa ed il fondo per il quale agiscono e, soprattutto, dovranno sostenere di esserne diventati proprietari, per uso eslcusivo, e non per esercizio di un diritto di servitù su bene che riconoscono essere di proprietà altrui.