L'energia rappresenta, oggi più che in passato, un costo rilevante, mentre i criteri di valutazione degli impianti, sia dal punto di vista sociale che legislativo, sono cambiati e sono in continua evoluzione.
Negli anni sessanta acquistare un immobile in edificio dotato di impianto termico centralizzato costituiva un notevole vantaggio, atteso che i sistemi di riscaldamento autonomi si limitavano alle tradizionali "stufe a kerosene" e anche in virtù del fatto che la popolazione media era rappresentata da lavoratori dipendenti, che trascorrevano la maggior parte del tempo fuori casa e, pertanto, non sussistevano motivi di incompatibilità tra i diversi gruppi familiari all'interno di un edificio.
Successivamente, in ragione del costo sempre maggiore del combustibile liquido, e in ragione del fatto che la società iniziava a differenziarsi, atteso che aumentava il numero dei pensionati e dei lavoratori autonomi che presentano necessità diverse dai lavoratori dipendenti, in quanto l'orario di permanenza negli appartamenti o negli uffici doveva fare i conti con le limitazioni di orario imposte dalla legge sul risparmio energetico, i vecchi impianti cominciavano a diventare obsoleti, sia per motivi di oggettiva vetustà, sia per la possibilità di potersi dotare di impianti autonomi a gas, meno costosi, per quanto concerne l'approvvigionamento, e impiegabili a misura delle singole esigenze.
Invero, l'art. 1118 del Codice Civile veniva interpretato nel senso di non consentire il distacco dall' impianto centralizzato né, tantomeno, permetteva al condominio, a maggioranza, di rinunciare all' impianto comune, ma a porre rimedio al problema è intervenuto l'art. 8 della legge 10 del 1991 che permette, alla maggioranza, la conversione dell' impianto di riscaldamento centralizzato in impianti unifamiliari a gas; in realtà non si tratta di un distacco dall' impianto centralizzato, né una rinunzia all'impianto centralizzato stesso in favore di singoli impianti autonomi, bensì una trasformazione del centralizzato in singoli impianti unifamiliari, trasformazione da attuarsi collettivamente, come ha avuto occasione di rimarcare la Cassazione (Sent. 20/02/2009 n.4216).
La recente pronuncia ha ribadito il principio circa la nullità della delibera che autorizza ogni condomino a provvedere autonomamente ad installare l' impianto che ritiene piu' opportuno senza alcun riferimento al rispetto delle prescrizione di legge, mentre ha ritenuto legittima la delibera che decide sulla base di una relazione tecnica con contestuale mandato all' amministratore di curare l'esecuzione del lavoro relativo alle parti comuni.
Nonostante detta innovazione legislativa, le trasformazioni non solo (e non si sa per quale motivo) non furono attuate che per casi sporadici, ma la norma diede luogo ad una serie di controversie giudiziarie che vengono, solo di recente, decise dalla Cassazione, quando la legge, con il D.L. 311 del 29/12/2006, ha ulteriormente e profondamente mutato i termini della questione.
La novità legislativa, infatti, ha invertito l'orientamento obbligando, in alcuni casi, a perseguire la via del riscaldamento centralizzato, con l'applicazione di dispositivi di regolamentazione e contabilizzazione del calore; in altri termini, in ragione delle maggiori possibilità tecnologiche attuali, il legislatore ha optato, per un maggiore controllo del risparmio energetico e dell'inquinamento, di devolvere alle amministrazioni condominiali il compito di gestire gli impianti anziché ai singoli proprietari, più difficilmente controllabili.
Il problema, peraltro, rimane nei casi in cui la vetustà dell'impianto implichi delle disfunzioni che compromettano l'utilizzo dell'impianto a danno di uno o più singoli e la comunità condominiale resti inerte.
Quali rimedi può ottenere il condomino che non riceve una temperatura sufficiente dall'impianto centralizzato tradizionale?
Intanto, è sconsigliato omettere o ridurre arbitrariamente il pagamento della propria quota di spese, atteso che l'amministratore è tenuto a promuovere azione giudiziaria ed il decreto ingiuntivo non può essere opposto in maniera efficace senza impugnare la delibera di approvazione e ripartizione della spesa entro il termine perentorio di trenta giorni; in ogni caso, la giurisprudenza è orientata nel senso che il condomino non può sottrarsi alle spese di riscaldamento eccependo che il servizio è stato erogato in maniera inadeguata potendo, al più, avanzare verso il condominio una pretesa risarcitoria nel caso di colpevole omissione dello stesso di provvedere alla riparazione o all'adeguamento dell'impianto (Cass.31/05/2006 n. 12956).
Il distacco del singolo dall'impianto centralizzato non è più considerato, dalla giurisprudenza, illegittimo, per cui il singolo può procedere a dotarsi di un impianto proprio e a non servirsi di quello comune senza che sia necessaria una maggioranza assembleare; il condomino sarà, in ogni caso, tenuto al pagamento delle spese di manutenzione dell'impianto centralizzato (rimanendone comproprietario), mentre per quanto concerne le spese di consumo e conduzione il discorso è diverso; intanto, se è previsto, da regolamento, il pagamento di una somma forfettizzata (ad esempio del cinquanta per cento) sarà applicabile quella disposizione regolamentare, mentre qualora il regolamento non presenti indicazioni, la questione è più complessa; in primo luogo è legittima la delibera che esoneri il condomino distaccato dal pagamento delle spese di riscaldamento, qualora l'assemblea abbia valutato l'assenza di squilibrio termico (Cass. 09/01/1999 n. 129). Il problema sorge allorquando non vi sia accordo sulla sussistenza dello "squilibrio termico".
Secondo la Cassazione (Sent. 21/05/2001 n. 6923, Sent. 29/03/2007 n. 7708) il condomino può essere esonerato dalle spese di servizio centralizzato di riscaldamento quando dia prova che il suo distacco non comporti un aggravio di spese per gli altri condomini, o uno squilibrio termico; in altri termini, un impianto progettato e costruito per venti unità immobiliari, qualora ne venga distaccata una, automaticamente non implica che detto impianto consumi per diciannove, potendo facilmente sussistere delle dispersioni di energia, per cui il condomino potrà omettere il pagamento solo di quella quota di risparmio che sarà conseguenza del suo distacco.
In pratica, il condomino dovrà presentare in assemblea una relazione tecnica che confermi la misura del risparmio indotto e, qualora l'assemblea non aderisca alla sua proposta di riduzione o esonero della quota, lo stesso dovrà impugnare, entro trenta giorni, davanti al giudice, la delibera stessa al fine di richiederne l'annullamento; in quella sede la questione tecnica verrà, probabilmente, delegata ad un perito del Giudice che avrà l'ultima parola in merito; come si può vedere, la procedura pratica è molto meno semplice di quanto possa apparire.
Il rimedio ordinario, per il condomino che si trovi danneggiato dal cattivo funzionamento dell'impianto di riscaldamento centralizzato, è quella di rivolgersi al Giudice affinché condanni il condominio ad intraprendere le dovute iniziative; è da rilevare che, a seguito delle innovazioni tecnologiche in materia, oggi è possibile, con i sistemi di regolamentazione e contabilizzazione e con l'applicazione di valvole, intervenire in impianti con squilibri termici al fine di rendere omogenea l'erogazione in tutto l'edificio e, di conseguenza, anche a favore dei piani più alti e delle posizioni con orientamenti meno favorevoli (nord, ovest) che, normalmente, si ritrovano in posizione deteriore nei confronti degli altri partecipanti alla comunione condominiale.
Avv. Paolo Gatto
Presidente Nazionale A.L.A.C.