Gli atti di accertamento fino ad ora emanati dall' Agenzia delle Entrate permettono di ricostruire la strategia con cui il fisco contesta al venditore e all’acquirente la sotto-fatturazione della cessione dell’immobile compravenduto.
In vero la giurisprudenza qualche anno addietro ha invitato il Parlamento ad adeguarsi alle direttive comunitarie: dal che è stata emanata la legge 88/2009 che ha reso illegali gli accertamenti fin ad allora operati dal fisco basati esclusivamente su valori tabellari pubblicati sul sito dell’ Agenzia del Territorio (c.d. valori OMI, Osservatorio del Mercato Immobiliare ). Non che questi non siano più utilizzabili ma, diversamente dal passato, hanno valore di "presunzione semplice" ossia hanno carattere indiziario e pertanto possono essere utilizzati solo se in concorso con altri elementi probatori ragionevoli e concordanti ( i c.d. riscontri ). La circolare 18/E/2010 emanata dall’ AdE ha recepito il cambio di orientamento dando disposizione agli uffici periferici di adeguarsi variando strategia nella esecuzione degli accertamenti di tale genere .
In conseguenza della nuova impostazione, l’Agenzia delle Entrate ( più avanti AdE) o per lei la Guardia di Finanza, al fine di acquisire notizie utili a determinare il valore reale dell'immobile acquistato dal costruttore, hanno iniziato a chiedere documentazione all’acquirente quali l’ atto di mutuo , copia del preliminare, copia degli estratti conto bancari riportanti i movimenti effettuati a cavallo del rogito e altro ancora. Tutto ciò ha in fatto coinciso con l’ invio di questionari che la Guardia di Finanza o l’ Ade hanno inviato ed inviano all’acquirente al fine di accertare se il prezzo di compravendita indicato nel rogito è inferiore a quello reale e se dunque il venditore ed il compratore hanno evaso l'Iva e le imposte dirette ( si pensi al compratore che "avendo accumulato del nero in contante" abbia al pari del venditore interesse ad abbassare il corrispettivo dichiarato).
Approfondendo quanto già anticipato, il primo indizio è l'importo del mutuo. In tal caso l’Ade parte dal corrispettivo indicato in atto. Poniamo per esempio che il bilocale (A) realizzato dall’ impresa Rossi Mario fosse stato venduto a 100 mila euro mentre il mutuo, come richiesto, fosse stato erogato in euro 120.000; Il valore OMI , invece poniamo risultasse di 150 mila euro . Rispetto al mutuo , la differenza con quanto dichiarato in atto ammonterebbe ad euro 20 mila euro; rispetto al valore OMI , invece, la differenza ammonterebbe a a 50mila euro.
Adottando una strategia prudenziale l'ufficio potrebbe accertare un maggior ricavo-reddito pari ad euro 20mila (valori dichiarato 100.000-valore del mutuo 120.000) ai fini delle imposte dirette e una maggiore Iva di 800,00 euro (aliquota del 4% ,prima casa) sul maggior imponibile, più sanzioni ed interessi .
Se invece l’ufficio decidesse di adottare una condotta più severa potrebbe determinare un maggior imponibile di euro 50.000 dato dalla differenza del valore dichiarato in atto (100.000) ed il valore OMI (euro 150.000 ). In tal caso però dovrebbe supportare questa "presunzione semplice" con altri elementi probatori "precisi e concordanti" quali per esempio l’evidenza di prelievi in contanti fatti dall’acquirente e rintracciati sull’estratto conto nella imminenza del rogito o immediatamente dopo; od in alternativa potrebbe recuperare dalla banca la perizia contenuta nel fascicolo del mutuo, laddove il bilocale risulterebbe valutato 150.000 euro (valore di mercato al mq. per il numero di mq.) .
Considerato che un un mutuo non supera mai l'80% del valore effettivo dell'immobile, l’Ade potrebbe ragionevolmente dedurre che dopotutto, 120 mila (l’importo del mutuo ) non è altro che l’ 80% del valore periziato.
Quanto sopra induce ad un semplice consiglio: dichiarare l’intero corrispettivo; si rispettano le leggi dello Stato e si evitano costosi fastidi.
Ennio Alessandro Rossi, commercialista
Assistenza Preventiva Acquirenti Immobili
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