GATTO PAOLO
IL CONDOMINIO NEL CODICE CIVILE
EDIZIONE AGGIORNATA AL 2013
CON LE MODIFICHE DELLA LEGGE n. 220 del 11/12/2012(Seconda parte)
Nel nostro sistema civilistico, è conferita rilevanza e capacità di essere soggetti di diritto alle persone fisiche (uomini e donne) ed alle persone giuridiche (società di capitali, fondazioni, associazioni riconosciute ecc.); a queste entità l'ordinamento attribuisce, dal punto di vista economico, le stesse facoltà che alle persone fisiche reali; queste possono concludere contratti, acquistare beni, diritti di godimento, eseguire cioè tutte quelle attività delle persone reali, tranne quelle specifiche dei soggetti umani (matrimoni e testamenti); hanno anche un patrimonio distinto da quello dei singoli soci che le compongono. Esistono poi entità "quasi persone giuridiche" che non hanno patrimonio completamente autonomo (società di persone, associazioni non riconosciute ecc.) ma che possiedono una pur limitata personalità ed autonomia ad agire.
Queste entità agiscono quali enti, attraverso degli organi, che sono costituiti da persone fisiche i cui atti sono attribuibili alla volontà dell'ente; la persona fisica, pertanto, occupa un ufficio interno all'ente e ne manifesta all'esterno la volontà.
Da lungo tempo si discute se il condominio possa rappresentare una anche minima entità autonoma di diritto ma la Suprema Corte si è orientata stabilmente in senso contrario. Il condominio, cioè, non ha una neppur minima autonomia giuridica e pertanto non rappresenta una persona di diritto; l'amministratore stesso, non costituisce un organo interno ma il rappresentante dei singoli condomini nei confronti dei terzi, secondo un rapporto esterno (e non di immedesimazione organica) assimilabile, per identità di causa, con una specie del genere del contratto di mandato con rappresentanza.
Il condominio, pertanto, nell'ordinamento non esiste come persona autonoma, esistono i singoli condomini, persone fisiche, rappresentati da un'altra persona fisica, data dall'amministratore, che agisce in loro nome e per loro conto.
Da quanto sopra, ne discendono conseguenze giuridiche di diverso genere:
1)-In primo luogo, nei rapporti con i terzi, ogni singolo condomino rimane titolare di posizioni giuridiche concorrenti con quelle del condominio, per cui non perde il suo diritto di azione contro terzi ( Cass. 4810/00), ma neppure perde la titolarità passiva nelle obbligazioni, per cui il terzo può agire direttamente nei confronti del singolo in relazione ai suoi millesimi (Cass. 5117/00);
2)-Il condominio non ha una sede legale, ma il suo domicilio si identifica con quello dell'amministratore che rappresenta i condomini (Cass.976/00), così è nulla la notificazione al condominio senza l'individuazione del nome dell'amministratore;
3)-Nelle controversie giudiziarie tra condominio e terzi (o condòmini) il singolo condomino che intende intervenire nel processo non riveste la qualità di terzo ma può intervenire, quale parte già costituita, con successiva costituzione autonoma (Cass. 8479/99), per la prima volta in appello (Cass. 7891/00) e per la prima volta nel giudizio di rinvio dopo la pronunzia della Corte di Cassazione (Cass. 6813/00).
Da quanto sopra esposto, ne discende che il condominio non esiste come entità di diritto oltre i singoli componenti partecipanti alla comunione e al soggetto che li rappresenta, per cui neppure il termine di organi riferito all'amministratore e all'assemblea appaiono esatti.
Per comodità, peraltro, nel corso del presente lavoro, individueremo l'assemblea e l'amministratore quali organi del condominio.
Come anticipato, non rappresentando, il condominio, un'entità di diritto, ma essendo definito dalla giurisprudenza ente di gestione privo di personalità giuridica, l'utilizzo del termine organi è improprio; sta di fatto che la legge riconosce rilevanza alle decisioni prese dall'assemblea, anche a carico dei dissenzienti e dall'amministratore, per conto dei condomini, per cui useremo il termine suddetto per comodità, anche se impropriamente.
Gli organi del condominio sono: l'amministratore e l'assemblea; nella prima trattazione della parte dinamica, quella relativa agli organi, sarà attribuita maggiore rilevanza all'amministratore, in quanto organo rappresentativo, nel momento in cui si tratterà degli atti, sarà attribuita maggiore rilevanza alle delibere assembleari, in quanto portatrici della volontà dei condomini.
La giurisprudenza, ormai orientata a non attribuire al condominio alcuna personalità giuridica, è di conseguenza orientata a non riconoscere all'amministratore alcuna funzione organica interna all'ente, ma la sua funzione è assimilabile ad una specie del genere contrattuale del mandato con rappresentanza.
In altre parole, tra singolo condomino e amministratore sorge un contratto di mandato (sia pur conferito collettivamente) con rappresentanza, mediante il quale un soggetto (amministratore) è obbligato, in cambio di un compenso (la giurisprudenza ritiene oneroso il mandato) ad eseguire atti giuridici a favore di un altro soggetto atti che, nella specie, si identificano con quelli di cui all'art. 1130 c.c. (che rappresentano l'oggetto del contratto). A tale specie di contratto di mandato, sono sempre applicabili i principi generali in materia, primo tra questi, l'obbligo della diligenza del buon padre di famiglia. Da quanto sopra, se ne ricava che l'amministratore sta in carica in forza di un contratto di mandato, per cui si assume una responsabilità contrattuale nei confronti degli amministrati.
La differenza tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sta, in primo luogo, nella diversa valutazione della colpa che nella prima è presunta, mentre nella seconda va dimostrata dal danneggiato; inoltre nella r. contrattuale è sufficiente anche una colpa lieve, mentre è necessaria quella media nella r. aquiliana; sono diversi i termini di prescrizione, che è ordinaria nella contrattuale (dieci anni) e abbreviata nella aquiliana (cinque anni); sono diversi gli obblighi relativi al risarcimento, atteso che nella r. contrattuale si risponde solo dei danni prevedibili, mentre nella extracontrattuale anche di quelli non prevedibili al momento del fatto.
La funzione, peraltro, di custodia generalizzata dei beni comuni, da parte dell'amministratore, induce la cosiddetta delega di funzione per cui l'amministratore diviene penalmente (con conseguente responsabilità aquiliana correlata) perseguibile in luogo dei condomini per danni che si dovessero verificare a persone e cose per eventi relativi al crollo di edificio, o a mancata osservanza degli obblighi di sicurezza di cui alle nuove normative.
Un'ultima questione riguarda la possibilità per una società di ricoprire la carica di amministratore di stabili. La S.C., in tempo orientata ad escludere che una società di capitali (S.P.A., S.A.P.A., S.R.L. o Coop. a r.l.) possa fungere da amministratore di uno stabile, in quanto verrebbe meno il rapporto fiduciario nei confronti degli amministrati (Cass. 5608/94, ripresa da decreto Trib. Genova 11/7/01), oggi ha cambiato indirizzo, ammettendo la possibilità che un condominio possa essere amministrato da una società di capitali (Cass. 22840/06).
L'ultima decisione appare censurabile sotto diversi punti di vista. Il provvedimento confuta il ragionamento della precedente pronuncia della Cassazione, in quanto veniva sottolineato il rapporto fiduciario esistente tra condomini persona fisica solo in relazione alla responsabilità illimitata, mentre su tale circostanza non si può fondare l'esistenza del rapporto di fiducia, mentre una società di capitali potrebbe, senz'altro, meglio svolgere un compito che, oggi, è diventato oltremodo complesso.
A ben vedere, peraltro, le conseguenze dell'allargamento possono essere gravi e non del tutto prevedibili; è chiaro che, qualora la società di capitali ceda le quote, l'amministratore, di fatto, verrebbe a cambiare senza che i condomini se ne rendano neanche conto. A questo punto è facile per il capitale entrare facilmente nei condomini, consentendo a grosse imprese di erogazione di energia o assicurative, di acquistare le amministrazioni in blocco allo scopo di piazzare i loro prodotti; i condomini "ceduti" potrebbero sempre revocare l'amministratore, ma la cosa è più facile a dirsi che a farsi.
La nuova legge ha ratificato il più recente orientamento come infra.
Le modifiche che più hanno inciso sulla disciplina condominiale riguardano la figura dell'amministratore e ciò è comprensibile se si conviene sull'aspetto prevalentemente demagogico della normativa. L'amministratore diventa necessario qualora nel condominio vi siano più di otto condomini, mentre non vi è l'obbligo nei condomini minori, anche se si applicano ugualmente le norme sul condominio. La figura dell'amministratore viene disciplinata sotto il profilo soggettivo, con previsione di limiti ben definiti e di obblighi di scolarità e aggiornamento, e con ben definiti obblighi in sede di acquisizione del mandato, mentre sono moltiplicati gli oneri la violazione dei quali, comporta la revocabilità da parte dell'Autorità Giudiziaria.
Per quanto concerne i condomini cd. "minimi" composti da due soli condomini, per i quali la Cassazione sosteneva si applicassero, relativamente alle maggioranze, le norme sulla comunione (Cass. 4721/01) ha mutato di indirizzo con la Sent n. 2046 del 31/01/2006 a Sezioni Unite ha stabilito che la differenza tra comunione e condominio sta nel rapporto di accessorietà delle parti comuni nei confronti di quelle private e che, pertanto, costituiscano due entità ontologicamente diverse per cui, in caso di impossibilità di decisione si potrà agire nanti il Tribunale il via non contenziosa ai sensi dell'art. 1105 c.c.,
Si intende, naturalmente l'obbligo dell'amministratore non deriva, neppure secondo la nuova normativa da necessità di ordine pubblico, ma nel senso che ciascun condomino, inserito in un contesto di condominio sopra gli otto partecipanti, abbia il diritto ad essere amministrato da un soggetto deputato a tale funzione. Questo è il motivo per il quale, accanto alla nomina ordinaria (a mezzo assemblea) esiste una nomina dell'amministratore straordinaria, da esperirsi a mezzo dell'Autorità Giudiziaria.
Affinché l'Autorità Giudiziaria possa procedere alla nomina di un amministratore d'ufficio, il condomino o i condomini interessati, devono dare la dimostrazione che l'assemblea non è riuscita a nominare l'amministratore con la maggioranza qualificata di cui al secondo comma dell'art. 1136 c.c. Pertanto, è necessario che l'assemblea si sia già pronunciata e ne sia derivato un nulla di fatto. A quel punto, con istanza rivolta al Presidente del Tribunale competente per territorio (il circondario in cui è sito il palazzo) anche senza il patrocinio di un legale, ciascun condomino può proporre la domanda di nomina di un amministratore, allegando il verbale della delibera negativa.
L'art. 71 bis delle disposizioni di attuazione del codice civile prevede ben definiti criteri soggettivi per svolgere l'attività di amministratore: godimento dei diritti civili, non aver subito condanne nei confronti di una Pubblica Amministrazione, l'amministrazione della giustizia o la fede pubblica o per ogni altro delitto che comporti una pena minima superiore ai due anni o massima ai cinque anni, non essere sottoposto a misure di sicurezza definitive, non essere interdetto o inabilitato; avere conseguito il diploma di scuola media di secondo grado, avere frequentato un corso di formazione e seguire corsi di aggiornamento periodici. E' da precisare che il possesso di diploma di media superiore e i corsi di formazione non sono necessari per coloro che amministrano lo stabile in cui sono condomini e non sono neppure necessari qualora, nei tre anni precedenti, si sia amministrato per almeno un anno (ma, in questo caso, è necessario l'aggiornamento periodico).
Possono amministrare stabili le società di persone e capitali, purché gli addetti siano in possesso dei requisiti di cui sopra.
Deve ritenersi, secondo la nuova legge, sussistere un sistema di decadenza automatica (che supplisce all'assenza di un albo) per cui in caso l'amministratore perdesse uno dei requisiti necessari, ciascun condomino può convocare direttamente l'assemblea per la nomina del nuovo amministratore.
L'amministratore dura in carica un anno e può essere revocato in ogni momento dall'assemblea, con la stessa maggioranza qualificata necessaria per la nomina. Il rapporto, pertanto, appare asimmetrico, in quanto l'amministratore non può dare le dimissioni prima della scadenza dell'anno, a meno che le dimissioni non siano accettate dall'assemblea con la maggioranza qualificata, o a meno che non sussista una giusta causa per la risoluzione del rapporto (inadempimento dei condomini) o l' impossibilità o l'eccessiva onerosità sopravvenuta (malattia o gravi problemi dell'incaricato); in caso di insussistenza di motivi, se l'amministratore lascia prima della scadenza, può essere chiamato a risarcire il danno; il condominio può sempre revocare il mandato, anche in corso di rapporto, senza essere obbligato al risarcimento.
La nuova normativa prevede che l'amministratore, alla scadenza del mandato, sia implicitamente confermato.
Questa soluzione dà luogo a problemi interpretativi: secondo alcuni la durata diventa di due anni, ma la legge, avesse ritenuto ciò, lo avrebbe espressamente detto o avrebbe detto che l'incarico si rinnova per un solo anno, non a tempo indeterminato. Secondo altra interpretazione, non sarebbe più necessaria un'assemblea per la riconferma se non vi sono espresse richieste.
La nostra interpretazione va nel senso che l'amministratore deve convocare l'assemblea per la nomina dell'amministratore (ciò si rileva dalle norme che gli impongono di presentare i dati per ogni riconferma) ma, nel caso in cui non vi siano altri candidati, l'assemblea può esimersi dal voto o qualora nessuno degli altri candidati raggiunga la maggioranza qualificata, rimane in carica l'amministratore nel pieno dei suoi poteri e non "ad interim" nonostante non abbia conseguito la maggioranza qualificata.
L'amministratore, al momento della nomina, è tenuto a presentare i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale, se si tratta di società anche la sede e il luogo e l'ora in cui ogni condomino può verificare ed estrarre copia della documentazione condominiale; l'assemblea può subordinare la nomina alla presentazione ai condomini di una polizza assicurativa individuale, che l'amministratore è tenuto ad adeguare in caso di lavori straordinari. All'atto della nomina e di ogni rinnovo, deve presentare a pena di nullità analiticamente l'importo dovuto a titolo di compenso.
Il compenso può essere determinato secondo il principio modulare, secondo il principio forfetizzato, o secondo il principio forfetizzato integrato.
Sistema modulare: Il sistema modulare presuppone l'elencazione di una serie di voci per ciascuna delle quali viene specificato il costo; detto sistema, peraltro, è da escludersi per la scarsa fiducia attribuita dagli utenti, che preferiscono una determinazione unitaria per poter meglio comparare le diverse offerte o, comunque, per non trovarsi brutte sorprese al momento della rendicontazione;
Sistema forfetizzato: Il sistema forfetizzato presuppone una sola voce per tutta la gestione; deve essere specificato che sono esclusi altri costi e spese. Il sistema è da sconsigliarsi in quanto può determinare un compenso largamente insufficiente in caso di lavori straordinari o assemblee straordinarie non previste.
Sistema forfetizzato integrato: Il sistema forfetizzato prevede un compenso unitario, che ricomprende tutta la gestione e non consente alcun costo ulteriore che non sia espressamente previsto (normalmente, assemblee straordinarie, lavori straordinari ecc.).
Esiste anche la revoca giudiziaria dell'amministratore. Originariamente era prevista in tre ipotesi: la prima, nel caso in cui l'amministratore non informi i condomini della notifica di atti giudiziari o amministrativi che esorbitino i suoi poteri; la seconda, nel caso in cui, per due anni consecutivi, l'amministratore non presenti il bilancio; la terza, nel caso di fondati sospetti di gravi irregolarità. La nuova legge riduce ad uno gli anni sufficienti alla revoca (anche se il termine per presentare il rendiconto viene fissato in centottanta giorni) in caso di mancata presentazione del rendiconto e ha codificato una serie (esemplificativa) di violazioni che comportano la revoca; in caso di mancata apertura del conto corrente condominiale e in caso di irregolarità fiscali è necessaria una preventiva assemblea per la revoca dell'amministratore prima di adire l'Autorità Giudiziaria, ma se non provvede l'assemblea alla revoca, questa è tenuta a rifondere il condomino, che ha agito in giudizio, delle spese legali sostenute. Per il resto gli esempi di gravi irregolarità di cui al nuovo articolo 1129 c.c., sono i seguenti:
- 1) Omessa convocazione dell'assemblea per l'approvazione del rendiconto condominiale o per la revoca o per la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge (da ricomprendersi le ipotesi di innovazioni vietate e speciali).
2) La mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari o amministrativi , nonché di deliberazioni dell'assemblea;
3) la mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale (esiste, ora, l'obbligo di fare transitare ogni somma sul conto corrente condominiale).
4) la gestione secondo modalità che possano generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio id il patrimonio personale dell'amministratore;
5) l'aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio;
6) qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l'aver omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva;
7) l'inottemperanza di cui agli obblighi dell'art. 1130 n. 6 (curare la tenuta del registro dell'anagrafe condominiale), 7 (curare la tenuta dei registri dell'assemblea ed il registro di nomina dell'amministratore), 9 (fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso).
8) l'omessa o incompleta comunicazione dei dati personali e professionali all'accettazione e conferma dell'incarico.
Contrariamente a quanto avveniva in precedenza ora, espressamente, l'amministratore revocato non può più venire rieletto dall'assemblea. La legge, peraltro, non stabilisce il periodo di divieto per cui si deve ritenere che la nomina non possa avvenire per l'anno della revoca, ma che possa avvenire nell'anno successivo; un divieto, infatti, deve ritenersi applicabile restrittivamente.
La causa
Come preannunciato, la causa del contratto che lega i condòmini all'amministratore coincide con quella del contratto di mandato con rappresentanza; un soggetto si obbliga, nei confronti di altri soggetti, in cambio di un compenso, a compiere atti in loro nome e nel loro interesse.
Nel caso specifico, pur non dicendo nulla la legge, l'incarico si presume a titolo oneroso, ma la suddetta presunzione è stata svuotata dall'onere di presentazione del compenso dettagliato pena la nullità della nomina, così come introdotto dalla nuova legge. Sulla misura esistono parecchi problemi; in primo luogo, devono ritenersi non vincolanti le classiche tabelle pubblicate a cura di alcune associazioni di amministratori atteso che, non essendo la professione legalmente protetta, non esiste un ente (pubblico) che possa imporre un prezzario o controllarne l'applicazione, anzi, il garante per la libera concorrenza (antitrust) ha condannato chi ha proposto tariffe professionali in quanto abbia creato un cartello a carico della libera concorrenza.
Purtroppo, si deve altresì constatare che esiste il problema opposto a quello dell'esistenza di cartelli; l'eccessiva corsa al ribasso sta privilegiando professionisti poco seri sia per quanto riguarda la diligenza nello svolgere l'attività che l'onestà nel maneggiare denari altrui. Si sta, infatti, affermando un mercato, nel quale all'amministratore che agisce con diligenza e, pertanto, pretende un giusto compenso (magari commisurato alla mole di lavoro che avrà eseguito) viene prescelto colui che propone un prezzo stracciato, magari col conto fatto di trascurare la professione (anche in termini di chiarezza e conoscibilità) e di fare entrare da "altri lidi" quanto ha fatto risparmiare ai condomini nel momento del suo ingaggio.
Si deve, purtroppo, anche riconoscere, che la bassa qualità degli amministratori è fortemente voluta dagli stessi amministrati i quali sono portati, magari per inconfessate o inconsce necessità o invidie, ad attribuire riconoscimenti a chi, invece, si dimostra più prepotente e spregiudicato (o magari si atteggia a persona di successo); tutto questo quando non esistano vere a proprie associazioni di condomini con interessi esterni, talmente forti, da influire sull'economia interna del caseggiato.
L'oggetto del contratto di mandato tra condomini e amministratore, è contenuto all'art. 1130 c.c.. L'articolo in questione contiene quattro punti, oltre una norma non numerata che impone all'amministratore di rendere conto della propria gestione al termine di ogni anno.
La giurisprudenza della Cassazione si è, di recente (Cass. 3/12/99 n.13504), orientata nel senso che l'amministratore, al fine di agire in giudizio per le materie di cui all'art. 1130, non abbia necessità di una delibera assembleare di autorizzazione, atteso che tali compiti sono di sua stretta competenza, per cui è obbligato ad eseguirli, se del caso, anche attraverso un procedimento nanti l'Autorità Giudiziaria; questo significa, in altri termini, che i doveri che formano oggetto del contratto implicano atti dovuti da parte del mandatario, il quale è tenuto ad adempiere anche nell'ipotesi in cui l'assemblea sia contraria, bastando la volontà favorevole anche di un solo condomino. A seguito analizzeremo, per sommi capi, i doveri dell'amministratore secondo il codice civile, tenendo sempre in debita considerazione che, all'interno di queste sintetiche disposizioni, si inseriscono le complesse leggi sulla sicurezza, quelle in materia fiscale e, in genere, tutte quelle nuove normative che ineriscono i compiti dell'amministratore.
Ad esempio, nel dovere di eseguire le delibere assembleari, c'è anche quello dell'osservanza delle norme sulla sicurezza dei cantieri nell'ipotesi di approvazione di lavori straordinari; così tra i compiti dell'amministratore rientrano quelli di garantire i diritti dei singoli condomini sulle parti comuni, tra i quali rientrano sicuramente quelli relativi alla sicurezza dello stabile, in relazione alle norme imperative vigenti. Così, il generale dovere, in forza del contratto di mandato, di gestire con la diligenza del buon padre di famiglia, impone all'amministratore l'osservanza delle normative in materia fiscale, in maniera tale da non cagionare danni da sanzioni amministrative ai condomini e, al contrario, in maniera da farli risparmiare nelle ipotesi di detrazioni fiscali.
L'OSSERVANZA DEL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO
Questo è il compito fondamentale dell'amministratore; l'amministratore è un organo prettamente esecutivo, per cui il suo compito principale è quello di eseguire le delibere assembleari. Il problema è se l'amministratore sia tenuto ad eseguire tutte le delibere o solo quelle legittime. Una prima risposta la dà direttamente la normativa sul condominio; l'art. 1137c.c. testualmente recita che il condomino dissenziente possa impugnare la delibera contraria alla legge o al regolamento, ma che l'impugnazione non ne sospende l'esecutività a meno che la sospensione non sia disposta dall'Autorità Giudiziaria; tale disposizione impone all'amministratore l'obbligo di eseguire le delibere anche se impugnate, a meno che non sospese (o naturalmente non annullate) dall'Autorità Giudiziaria. L'amministratore non ha quindi il potere di valutare la legittimità o meno di una delibera assembleare, la deve eseguire a meno che il Giudice non disponga altrimenti.
Il problema è quello delle delibere nulle; vi sono infatti delle delibere assolutamente nulle, che l'amministratore non è tenuto ad eseguire, anzi è tenuto a non eseguire; fino a qualche tempo fa, vi era il problema dell'individuazione delle delibere radicalmente nulle, al fine di distinguerle da quelle meramente annullabili; oggi la S.C., come avremo ragione di vedere nel momento in cui si tratterà della delibera come "provvedimento", ha limitato la nullità a riguardo di quelle delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario a norme imperative di ordine pubblico) o prese al di fuori della competenza dell'assemblea, rendendo più semplice la vita agli amministratori che, a questo punto, avranno molti meno dubbi che in passato.
Per quanto riguarda l'obbligo di curare l'osservanza del regolamento di condominio, il problema più dibattuto riguarda l'obbligo di fare rispettare anche le disposizioni non regolamentari del regolamento contrattuale; ebbene, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che tale compito incomba all'amministratore solo se le disposizioni non regolamentari vadano, comunque, a beneficio della collettività condominiale.
L'art. 1138 c.c. prevede la presenza di un regolamento di condominio, approvato a maggioranza qualificata, che contenga la disciplina di quelle materie che lo stesso articolo elenca; tali materie sono definite, dalla giurisprudenza regolamentari. Vi sono poi dei regolamenti, definiti contrattuali (della stessa natura di quelli di cui si è parlato nella sintesi storica) che sono approvati all'unanimità o sono richiamati dagli atti di acquisto (titoli); detti regolamenti, oltre alle materie "regolamentari", sempre modificabili a maggioranza, possono contenere servitù, oneri reali o obbligazioni propter rem, a carico delle singole unità immobiliari o dei condomini in genere. E' il caso ad esempio dei divieti di adibire gli immobili a particolari attività; tali disposizioni non possono essere approvate a maggioranza, ma all'unanimità; l'amministratore dovrà comunque curarne il rispetto se le regole sono dettate a favore della comunità condominiale, nel caso in cui, al contrario, beneficiario sia un singolo, a lui spetterà tutelare i diritti che il regolamento gli conferisce.
Il secondo compito è il più ovvio, ma il meno semplice dal punto di vista pratico; se è infatti vero che l'amministratore ha il potere-dovere di disciplinare l'uso delle parti comuni al fine di garantirne il migliore godimento (con il limite che le sue disposizioni debbano risolversi in una disciplina del godimento e non in un limite immotivato dello stesso) è anche vero che le sue disposizioni, se non eseguite, non sono, di fatto, eseguibili in alcun modo. L'amministratore, quale mandatario di tipo privato, non ha infatti alcun potere coercitivo nei confronti dei condomini, per cui si deve, comunque, rivolgere all'Autorità Giudiziaria in caso di inottemperanza alle sue disposizioni; non solo, ma anche un provvedimento dell'Autorità, potrebbe non essere eseguibile, in quanto avente per oggetto un comportamento.
Le ipotesi tipiche sono quelle, ad esempio, dei divieti di lasciare i passeggini nell'androne del palazzo; qualora l'ordine dell'Amministratore non venga spontaneamente eseguito, questi non ha alcun diritto di intervenire sui beni lasciati nell'androne in quanto porrebbe in essere un reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni; a ben vedere, peraltro, anche il ricorso all'Autorità si dimostrerebbe inutile, atteso che il provvedimento emesso non sarebbe eseguibile se non attraverso l'intervento continuo (e impossibile da esperirsi in pratica) dell'Ufficiale Giudiziario) che sgomberi l'area; tenendo anche conto che i beni rimarrebbero in custodia a carico provvisorio dei condomini.
Tale potere-dovere, rimane pertanto fortemente limitato dal buon senso dei condomini.
Questo compito rappresenta una specificazione del generale dovere di eseguire le delibere assembleari. Parte dell'esecuzione di delibere che comportano spese è sicuramente l'erogazione delle stesse, mentre quella di delibere di approvazione di spese, è sicuramente quello di esigerle dai condòmini. L'articolo in questione attribuisce, peraltro, all'amministratore la funzione di cassa del condominio, per cui lui è il custode delle somme necessarie alla conduzione condominiale.
Un'ultima questione rimane quella del recupero forzato dei contributi dai morosi; la legge pone un rimedio che è il decreto ingiuntivo esecutivo (art. 63 Disp. Att. C.c.); il procedimento è veloce, ma l'espropriazione può essere lenta. Vediamo, in breve, l'iter. In caso di morosità persistente (non è peraltro necessario alcun sollecito se non previsto dal regolamento) l'amministratore deve agire, tramite un legale, per il recupero, fornendo a quest'ultimo la delibera di approvazione della spesa e la ripartizione; il legale procede davanti al Giudice competente per l'ottenimento del provvedimento. Ottenuto il provvedimento, se non vi è pagamento, si procede all'espropriazione che può essere mobiliare alla residenza del debitore (per importi minimi) o mobiliare presso terzi (solitamente sulla retribuzione o sulle somme dovute dal conduttore a titolo di canoni) o immobiliare (sull'immobile stesso) il che implicherà una lunga e costosa procedura, sottoposta al rischio di insolvenza se vi sono già altri creditori muniti di privilegio.
Prima di iniziare l'esame del punto più complesso tra i poteri-doveri dell'amministratore, è bene dividere tra i mezzi posti a difesa dei condomini per aggressioni provenienti da fatti, da quelli provenienti da atti, cioè da condotte imputabili a soggetti di diritto. Aggressioni provenienti da fatti Sono date dalle minacce provenienti da fattori esterni non umani, come gli eventi atmosferici o, più semplicemente, il decorrere del tempo.
L'amministratore viene delegato, per legge, custode delle parti comuni, per cui è responsabile in caso avarie, crolli o altro, possano cagionare danni economici ai condomini o danni a terzi, nelle ipotesi in cui l'A., per negligenza, imprudenza o imperizia, non sia intervenuto in situazioni che potevano degenerare. E' l'ipotesi dei lavori urgenti.
L'amministratore ha il dovere di procedere al compimento di lavori, salvo immediato ricorso all'assemblea, qualora vi sia urgenza. Anche la constatazione di urgenza è un procedimento, che l'amministratore ha il dovere di compiere in maniera il più trasparente possibile, facendosi aiutare, se necessario, da un tecnico.
Fatti imputabili a soggetti L'amministratore ha il dovere di intervenire, in queste ipotesi, senza il preventivo assenso dell'assemblea, trattandosi, per lo più, di compiti di sua esclusiva spettanza; sono costituiti da azioni giudiziarie, da esperirsi nei confronti di soggetti che minacciano i diritti dei condomini sulle parti comuni, vediamo di analizzarli brevemente: Azione di garanzia per vizi: L'azione, disciplinata dall'art. 1669 c.c., pur integrando azione ordinaria, viene attribuita dalla giurisprudenza, in maniera pacifica, all'amministratore (Cass. 3304/00) trattandosi di atto conservativo dei diritti dei condomini. Si tratta dell'azione nei confronti dell'appaltatore o, addirittura, del costruttore, per gravi vizi di costruzione; è un'azione di garanzia.
Denuncia di nuova opera: Si tratta di un'azione cautelare, da esercitarsi nanti il Tribunale, qualora un terzo ponga in essere una nuova opera a danno delle parti comuni condominiali. L'azione deve venire intrapresa entro l'anno dall'inizio dell'opera e prima che questa venga ultimata.
Denuncia di danno temuto: In questa ipotesi, l'amministratore deve agire, in via cautelare, qualora sussista un pericolo di danno o di aggravamento di un danno già in corso. Il Giudice (Tribunale) deve emettere provvedimenti provvisori al fine di eliminare il pericolo. Azioni di reintegrazione e manutenzione: Sono definite azioni possessorie e devono venire intraprese, qualora un terzo spogli o crei turbativa del possesso dei condomini sulle parti comuni.
L'azione va esercitata entro un anno da quando lo spoglio è avvenuto o da quanto la turbativa è iniziata; è necessario evidenziare che il possesso è una situazione di fatto che non sempre corrisponde ad un diritto effettivo. La finalità della legge nelle azioni possessorie è quella definita dal brocardo ne cives ad arma ruant (affinché i cittadini non ricorrano alle armi). Tale assunto può meglio aiutare a comprendere un concetto che non è dei più semplici.
L'azione possessoria non è esperibile soltanto da chi è titolare di un diritto, ma anche da chi esercita un possesso di fatto, magari nei confronti dello stesso proprietario il quale, arbitrariamente, gli impedisca di esercitarlo, magari sulla base di un diritto effettivamente esistente ma che può essere fatto valere soltanto davanti ad un giudice.
L'ordinamento vuole evitare gli atti arbitrari o violenti (intendendosi con il termine "violenza"un'azione di fatto non voluta da un altro soggetto) a prescindere dal fatto che possano avvenire a difesa di un diritto effettivamente esistente, in quanto tale diritto può venire riconosciuto e tutelato soltanto da un giudice.
Così l'amministratore ha il dovere di agire in via possessoria non solo nei confronti di un terzo che, ad esempio, parcheggi la propria auto nel cortile condominiale, ma anche nei confronti di quel proprietario di un fondo che, tramite una catena o altro, impedisca il parcheggio ai condomini, parcheggio magari non sorretto da un titolo,ma che di fatto avviene pacificamente.
Si badi di non confondere l'azione possessoria da quella dichiarativa di usucapione, in quanto l'usucapione avviene a seguito di possesso ventennale (normalmente) e trasferisce il diritto reale al possessore, mentre l'azione possessoria non trasferisce il diritto, ma si limita a tutelare il possesso a prescindere che sia sorretto o meno da un titolo legale. Il soggetto che ha spossessato sarà quindi costretto a rimettere le cose come erano in precedenza e, solo in seguito, agire per il riconoscimento del suo diritto con una azione ordinaria e l'esecuzione della sentenza a mezzo Ufficiale Giudiziario.
L'amministratore, dal canto suo, dovrà anche prestare attenzione a non rendersi egli stesso colpevole di atti arbitrari, magari ritenendo di esercitare un diritto. Un caso frequente è quello dei ponteggi nelle proprietà private. Esiste un diritto che permette al vicino (o ai condomini) di accedere ad un fondo al fine di eseguire i lavori necessari (art. 844 c.c.); tale diritto è peraltro sottoposto all'autorizzazione del titolare del fondo, in mancanza di che, l'amministratore dovrà agire, magari in via d'urgenza, al Giudice al fine di ottenere un'ordinanza; qualora, invece, l'amministratore procedesse arbitrariamente a fare posizionare i ponteggi, magari con la legittimazione dell'assemblea, porrebbe in essere un atto censurabile in sede possessoria, per cui sarebbe costretto alla rimozione e, in seguito, ad adire l'Autorità per poter porre nuovamente i ponteggi. Articolo 700 c.p.c.: Il codice di procedura civile, prevede una norma di chiusura, qualora vi sia il pericolo che un diritto possa venire irrimediabilmente leso dal tempo necessario al fine di esperire un'azione ordinaria, ammettendo che il Giudice possa, in via d'urgenza, anticipare l'effetto della sentenza, emettendo i provvedimenti necessari, salvo conferma con procedimento ordinario.
Si ritiene, normalmente che la procedura sia applicabile giusto nel caso in cui un proprietario si opponga all'accesso nel suo fondo o nell'ipotesi in cui il vecchio amministratore non consegni i documenti a quello nuovo.
La nuova legge ha introdotto altri adempimenti a carico dell'amministratore, alcuni dei quali, implicitamente contenuti nei quattro punti originari, rimasti per lo pù immutati, altri del tutto nuovi.
Brevemente si elencano
- 5) Eseguire gli adempimenti fiscali. Norma di chiara connotazione demagogica; il legislatore dispone siano curati gli adempimenti fiscali, ma non dice quali siano, probabilmente in quanto chi ha steso la legge non li conosce; ad esempio, spetta all'amministratore promuovere le detrazioni fiscali in caso di lavori, visto che non costituisce un incombenza di conservazione delle parti comuni ma mero vantaggio economico e patrimoniale dei singoli? Ragionando in termini meramente condominiali non costituirebbe un obbligo, ma qualche giudice potrebbe sostenere che costituisce atto necessario in quanto improntato alla diligenza al fine di non cagionare danni ai committenti; il legislatore, volutamente, non dice nulla per cui, in presenza di norma imperative, quali sono quelle di natura fiscale (ad esempio il sostituto di imposta) l'enunciato normativo è pressoché inutile in quanto le norme fiscali sono già, di per sé, cogenti.
6) Curare la tenuta del registro dell'anagrafe condominiale. Nuovo compito che investe l'amministratore della qualità di "conservatore" circa di diritti reali nel condominio. Egli ha l'obbligo di richiedere, ai condomini, i dati personali e dei diritti reali dell'immobile o degli immobili dei quali sono titolari. Ai dati sui diritti reali sono aggiunti quelli relativi all'occupazione (eventuali inquilini o altro) e sulla sicurezza (enunciazione demagogica quanto inutile in quanto del tutto sfornita di elementi caratterizzanti tali da renderla applicabile. L'amministratore, in caso di inerzia del condomino nel comunicare i dati, concede termine di trenta giorni, in caso di ulteriore mancata risposta, farà eseguire gli accertamenti da un tecnico, salvo l'addebito delle spese al singolo in difetto.
7) Curare la tenuta del registro dei verbali delle assemblee, del registro nomina e revoca dell'amministratore e del registro contabilità. Riguardo ai primi due registri non si pongono problemi, mentre si pongono per il registro contabilità; entro trenta giorni, infatti, ogni voce in entrata ed in uscita va registrata. Il problema è che si tratta di un registro cronologico e, di conseguenza, fino a che i programmi non avranno previsto delle procedure "bloccanti" nei dati inseriti, sarà necessario predisporlo in forma cartacea, con le immani e prevedibili perdite di tempo.
8) Conservare tutta la documentazione inerente alla propria gestione; norma esistente in precedenza, anche se implicita, dove viene puntualizzato "sia al rapporto con i condomini, sia allo stato tecnico e amministrativo dell'edificio e del condominio (?); esiste una chiara imprecisione della legge, atteso che l'amministratore è custode di tutta la documentazione, anche in relazione alle passate gestioni e non solo alla propria.
9) Fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti. Questa è una vera e propria novità in quanto, in precedenza, l'amministratore non aveva potere di certificazione; oggi se uno deve cedere l'immobile ad esempio, può chiedere l'attestazione da consegnare al notaio per le eventuali spese in sospeso ed eventuali liti.
10) Redigere il rendiconto annuale. Norma già esistente, anche se non numerata, alla quale, oggi, è dato termine di centottanta giorni per la predisposizione del rendiconto dalla chiusura del periodo di gestione (quasi sei mesi); è chiaro che la dilatazione del termine fa buon gioco a quegli amministratori che sono "traballanti"; una volta gestito metà mandato dell'anno successivo, infatti, verrebbero confermati in attesa dell'anno successivo, e l'anno successivo avverrà lo stesso.
La nuova legge, con l'art. 1130 bis, precisa come deve essere redatto il rendiconto.
Secondo le nuove disposizioni, il rendiconto è costituito da un registro della contabilità, da un riepilogo finanziario, nonché da una nota sintetica esplicativa delle gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti.
La prima impressione che salta agli occhi è che si tratti di un rendiconto "per cassa" che tiene, cioè, in considerazione le sole spese erogate ed incassate (e non delle spese maturate e non erogate) anche se vi sono degli elementi di competenza (indicazione dei rapporti in corso e delle questioni pendenti).
In pratica, se si utilizza un foglio di calcolo non vi sono problemi, si traccia una colonna spese di cassa e una di competenza (che conflurirà nel riparto) in modo che siano evidenziate sia le partite definite che quelle pendenti. Se, al contrario, si utilizza un software applicativo sussistono dei problemi. Intanto, i programmi non permettono, normalmente, di gestire il rendiconto secondo il principio di cassa ed il riparto secondo quello di competenza; tenuto conto che, normalmente, con il riparto, è necessario acquisire i saldi anche relativi alle partite non definite, con gli applicativi anche il rendiconto vene, pertanto, redatto per competenza, per cui, di fatto, fino a che le case produttrici non avranno risolto il problema, sarà necessario, accanto al rendiconto e riparto digitale, redigerne uno manuale che evidenzi la situazione di cassa.
Altre mansioni.
Viene previsto l'obbligo, per l'amministratore, di affiggere nel portone l'indicazione dei propri dati; è da rilevare che, molti comuni, hanno già emanato dettagliate disposizioni al riguardo, per cui sarà necessario osservare sia le disposizioni del comune che quelle della nuova legge. L'amministratore è tenuto a fare transitare ogni somma sul conto corrente del condominio.
L'amministratore, alla cessazione dell'incarico, è tenuto a alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso e ad eseguire le attività urgenti, senza alcun compenso ulteriore (e qui non si intende per quale motivo non spetti un compenso per le attività urgenti).
Salvo che l'assemblea lo dispensi, l'amministratore è tenuto ad agire nei confronti dei condomini morosi entro sei mesi dalla fine della gestione nella quale il credito è sorto (quindi, se si tratta di rate per lavori straordinari, il termine semestrale decorre, in ogni caso, dal termine della gestione ordinaria). E' da rilevare che la nuova legge impone all'amministratore di riferire, ai creditori del condominio, i nominativi dei condomini morosi e, solo in caso di insolvenza degli stessi, i creditori potranno rifarsi su quelli in regola. Questa norma che, a prima vista sembra di semplice applicazione, può dare luogo a responsabilità dell'amministratore e, comunque, impone una gestione più complessa dei pagamenti.
Ogni condomino che cede l'immobile deve comunicarlo all'amministratore, consegnando copia autentica dell'atto; fino alla consegna continua ad essere responsabile in solido con l'acquirente, per le spese.
Altri organi.
L'art. 1130 bis prevede che, con la maggioranza qualificata necessaria per la nomina dell'amministratore, possa nominare un revisore dei conti la cui spesa sarà ripartita tra tutti i condomini.
Viene reintrodotta la figura del "consigliere di condominio" (già presente nella legge del 1935), anche se prevista (non obbligatoriamente) nei condomini con almeno dodici unità immobiliari, con funzioni consultive e di controllo. Anche qui, non si capisce cosa succeda che l'assemblea di un condominio con undici unità nomini, comunque, i consiglieri di condominio.
L'assemblea, nel condominio rappresenta l'organo decisionale; essendo un corpo collegiale e riportando, pertanto, gli interessi convergenti di persone diverse, decide a maggioranza e ciò rappresenta una notevole novità nel campo dei diritti reali dove, solitamente, vige il principio del diritto assoluto, secondo il quale, nessuno può essere costretto da altri soggetti, anche in virtù di una maggioranza, a subire limitazioni, tranne l'ipotesi in cui non si sia egli stesso limitato a seguito di un negozio giuridico.
L'assemblea è composta da tutti i soggetti titolari di una proprietà esclusiva all'interno del caseggiato. Convocazione L'assemblea viene obbligatoriamente convocata almeno una volta all'anno (assemblea ordinaria) e, in via straordinaria, qualora lo ritenga opportuno l'amministratore o qualora lo ritengano almeno due condomini che rappresentino almeno un sesto della proprietà. Invero, esiste un procedimento secondo il quale, qualora sussista la maggioranza di cui sopra, i condomini istanti si debbano rivolgere all'amministratore, chiedendo la riunione straordinaria; solo qualora questi non proceda alla convocazione entro dieci giorni, potranno provvedere direttamente alla convocazione loro stessi.
Se manca l'amministratore, ciascun condomino può convocare direttamente sia l'assemblea ordinaria che straordinaria.
E' da rilevare che i termini ordinaria e straordinaria riferiti all'assemblea non detengono alcuna relazione con gli argomenti trattati, atteso che può avvenire che, a seguito di contestazioni, il bilancio sia approvato in un'assemblea straordinaria e lavori di rilevante entità siano invece decisi in occasione dell'assemblea ordinaria.
L'avviso di convocazione, deve essere inviato a tutti i condomini almeno cinque giorni prima del giorno di prima convocazione; questo deve contenere la data, l'ora e il luogo della seduta e, in maniera comprensibile, l'ordine del giorno di discussione.
Esiste anche un quorum di validità della prima convocazione ma, essendo troppo alto, normalmente la prima seduta viene fissata in un giorno o ad un ora in cui nessuno certamente interverrà; tali sotterfugi, peraltro, sono sempre stati in certo modo assecondati dalla giurisprudenza (si veda sull'orario di convocazione Cass. 697 del 22/1/00) probabilmente in quanto conscia che il quorum in prima convocazione non sarebbe quasi mai raggiunto; la seconda seduta non può essere convocata oltre i dieci giorni o prima del trascorrere di un giorno (inteso nel senso del calendario e non nel periodo delle 24 ore) dalla seduta andata deserta.
La riunione Per quanto concerne la regolarità della seduta, non vi sono regole che impongano una disciplina circa la nomina del presidente e del segretario. La peculiarità del condominio, che porta interessi proporzionali ai valori, ma reca altresì diritti di godimento incomprimibili, ha reso necessaria l'adozione di un sistema di voto binario; le approvazioni avvengono per soggetti e per quote di proprietà (millesimi) e, affinché la delibera sia valida, devono sussistere entrambi i quorum. In effetti, nel nostro ordinamento, rinveniamo un sistema di voto per teste o politico, adottato in sede associativa, sindacale e istituzionale, dove ciascun votante ha diritto ad un solo voto, equivalente a quello degli altri votanti, sulla base di un principio di eguaglianza e un sistema invece puramente a quote rinvenibile nel diritto commerciale, nell'ambito delle società, dove la liquidità del capitale e le diverse entità patrimoniali degli interventi renderebbe iniquo un sistema di voto a persona o uguale vertendosi comunque in campo economico- patrimoniale.
Nel condominio sussiste la necessità di distinguere le diverse quote ma, d'altro canto, ciascun condomino ha il diritto di utilizzare il bene comune, a prescindere dalla sua quota, per quella che è la sua destinazione; la destinazione del bene, a differenza di quanto avviene nelle società, dove la liquidità del capitale non impone alcun principio di garanzia per la quota minima rende necessario tenere conto anche del soggetto quale persona.
L'assemblea può decidere sulla base di una maggioranza semplice, rappresentata da un terzo dei condomini che rappresenti un terzo dei millesimi (in seconda convocazione, maggioranza oggi modificata dalla nuova legge), una maggioranza qualificata, data dalla maggioranza degli intervenuti in assemblea (anche a mezzo delega) che rappresenti almeno la metà dei millesimi (500 e non 501) o qualificata speciale, data dalla maggioranza dei condomini che rappresenti almeno i due terzi dei millesimi.
Ciascuno può presenziare in assemblea personalmente o a mezzo di persona delegata, ogni proprietà immobiliare può portare un solo rappresentante anche se costituita da una comunione; chi è titolare di più proprietà rappresenta un solo soggetto anche se titolare di più quote sommate tra di loro questo in quanto la legge parli di condomino, intendendosi con questo il soggetto e non l'unità di appartenenza.
Qualora vi siano più titolarità incrociate (il che avviene, soprattutto nei borghi) con titolarità soggettive e comunioni composte dalle stesse persone, si dovrebbe intendere quale condomino il soggetto, se proprietario da solo e la comunione se composta con le stesse quote.
Ad esempio, il condomino A è proprietario di due immobili e di un altro in comunione con sua sorella B, a sua volta proprietaria con il marito C di altra unità immobiliare. In assemblea, A voterà per una testa per i due immobili, A o B rappresenterà un altro condomino (comunione di A e B) e B o C rappresenterà un altro condomino (comunione di B e C).
Il c.c. stesso, nelle disposizioni di attuazione, ammette che possa presenziare un solo rappresentante per ogni piano o porzione di piano e che, in mancanza di accordo, sorteggi il presidente; è necessario, pertanto, evitare di fare partecipare più rappresentanti dello stesso appartamento alla stessa assemblea (ad esempio marito e moglie) in quanto qualche buontempone potrebbe impugnare la delibera per vizio di formazione atteso che, al momento della discussione, fossero presenti persone non autorizzate a deviare il corso di formazione della volontà assembleare.
Come anticipato, la riforma è intervenuta sulle maggioranze, modificando la maggioranza semplice e introducendo una nuova maggioranza.
Per raggiungere la maggioranza semplice, secondo le nuove disposizioni non è più sufficiente un terzo dei condomini, intesi quali "teste", ma è necessaria la maggioranza degli intervenuti; il motivo è comprensibile e la soluzione condivisibile; con il quorum precedente avrebbe potuto verificarsi l'ipotesi (più che altro "di scuola") che fosse approvato un argomento sorretto dal terzo dei condomini ma che trovasse contrario un quorum maggiore.
Importante modifica è che l'amministratore non possa più ricevere deleghe in nessun tipo di assemblea.
Un'altra disposizione prevede che, nei condomini con più di venti condòmini, le deleghe non possano essere concentrate in un unico rappresentante per oltre il quinto dei millesimi; detta disposizione è stata dettata per evitare la cd. incetta di deleghe, anche se negli stabili in località turistiche la noma può creare dei problemi visto che, normalmente, i condomini vivono altrove e, normalmente, delegano altri condomini e, soprattutto, l'amministratore.
Ma le novità maggiori riguardano i supercondomini; nei supercondomini con almeno sessanta partecipanti, ogni stabile nomina, con la maggioranza qualificata speciale (innovazioni), un proprio rappresentante che vota senza alcun limite o condizione e riferisce all'amministratore che riferisce, a suoa volta, in assemblea.
Quello dell'individuazione delle competenze è un problema di un certo peso, atteso che la delibera presa fuori dalle competenze dell'assemblea è ancora, e a ragione, considerata radicalmente nulla; la legge, peraltro, non dice quale sia il limite di decisione dell'assemblea, per cui la relativa valutazione spetta all'interprete che, in ultima battuta è il giudice, ma in prima è l'amministratore, il quale è tenuto ad esercitare una cognitio nel momento in cui dovrà decidere se porre la delibera in esecuzione o meno.
La giurisprudenza da tempo si è orientata nel senso che le delibere "tipiche" previste dal codice civile non rappresentino un elenco esaustivo ed esclusivo, avendo l'assemblea, in generale, una sovranità per quanto riguarda la conduzione delle questioni nello stabile; a questo punto, posto un limite dato dall'ordinaria amministrazione delle parti comuni, intendendosi per ordinaria amministrazione anche i lavori straordinari e tutto ciò che riguarda la manutenzione, l'unico modo per cercare di segnare dei confini è quello di segnare territori esterni, nei quali l'assemblea non si può spingere; in genere non rientra tra i poteri dell'assemblea:
1)-Deliberare su fatti che non abbiano per oggetto questioni relative a gestione di parti comuni; Con quest'affermazione, non si intendono solo le spese che, seppure a rilevanza collettiva, non ineriscano direttamente la conduzione dello stabile (necrologi, regali ecc.) ma anche quelle materie site nella zona grigia che sta tra la parte comune in se e l'utilizzo soggettivo. Sintomatica è l'ipotesi del guardianaggio; di recente Tribunale di Napoli (da ultimo 21/3/00) e Corte d'Appello relativa si sono scontrate sulla condominialità della spesa relativa al guardianaggio. Da una parte, infatti, si sostiene che il guardianaggio delle auto, avendo per oggetto beni esclusivi, deve essere gestito dai singoli titolari dei mezzi, dall'altra si sostiene, al contrario che, avendo il guardianaggio sostituito il portiere, rientra a buon diritto tra le materie di competenza dell'assemblea.
2)-Deliberare su questioni relative a beni privati; Con quest'affermazione si sancisce che l'assemblea non ha il potere di intervenire né limitare in alcun modo la proprietà privata; il caso è quello dei limiti posti dai regolamenti alle destinazioni degli immobili, in quanto solo un regolamento di genesi contrattuale potrà ad esempio disporre che gli immobili dell'edificio non possano essere adibiti ad uso di ufficio, mentre l'assemblea nulla potrà in merito. Devono inoltre ritenersi essere approvate al di fuori della competenza dell'assemblea quelle spese che non vanno a favore di parti comuni ma private (fatto salva l'ipotesi in cui l'obbligo provenga, ad esempio, dal dover risarcire un danno cagionato da una parte condominiale). Devono inoltre ritenersi diritti esclusivi anche le servitù dei singoli sulle parti comuni.
3)-Limitare i diritti dei singoli sulle parti comuni; Questo punto è il più complesso atteso che richiama tutta la questione relativa alle innovazioni vietate. Non rientra, infatti, tra i poteri dell'assemblea rendere inutilizzabile (o anche alienare o cedere gratuitamente, anche temporaneamente, a terzi) una parte comune anche nei confronti di un solo condomino intendendosi, con questo, che l'assemblea abbia il potere di, in una certa misura, modificare la situazione dei luoghi, ma si debba fermare quando, a seguito della modifica, al singolo o alla collettività possa pervenire un apprezzabile deprezzamento della proprietà esclusiva; gli esempi sono diversi, dalla creazione di parcheggi sulle rampe di accesso ai garages, all'installazione di ascensori con conseguente limitazione della sezione delle scale e dei ballatoi e passaggi privati ecc..
Altro limite dell'assemblea e quello della modifica dei criteri di ripartizione; l'assemblea non ha, infatti, il potere di modificare i criteri legali o contrattuali di ripartizione delle spese.
Per quanto concerne i millesimi, originariamente solo l'unanimità dei condomini poteva approvare le tabelle millesimale; in mancanza o per la modifica di quelle esistenti, decideva il Tribunale, ma tutti i condomini dovevano essere evocati in giudizio. Di recente, si sono pronunziate la Sezioni Unite, con la Sentenza n. 18477 del 09/08/2010, che hanno stabilito che, al fine del funzionamento della gestione del condominio, le tabelle millesimali possono essere approvate anche a maggioranza qualificata (art. 1136 2 c. C.C.) dall'assemblea.
La nuova legge è intervenuta modificando ancora il quadro. In primo luogo, per la formazione di nuove tabelle (o per la modifica di quelle esistenti) occorre l'unanimità di tutti i condòmini; la maggioranza qualificata è sufficiente in caso di errore o di modifica dei rapporti per più di un quinto a favore o a carico anche di un solo condomino; per queste modifiche, se non interviene l'assemblea, è sufficiente evocare in giudizio solo l'amministratore, che è tenuto a darne notizia ai condomini, pena la sua revoca e risarcimento dei danni.
Gli atti degli organi del condominio sono quelli che hanno maggiore rilevanza in quanto sono idonei a modificare il diritto, incidendo nella sfera soggettiva dei singoli condomini; gli atti promanano dall'amministratore e dall'assemblea, dal punto di vista dell'importanza, peraltro, in un'ottica interna, le delibere, ossia gli atti dell'assemblea, sono più importanti in quanto contengono la volontà dei condomini, mentre gli atti dell'amministratore hanno, per lo più, caratteristiche esecutive.
Le delibere assembleari La delibera dell'assemblea, in questo lavoro, verrà esaminata sotto l'aspetto del provvedimento e sotto l'aspetto del procedimento. Sotto il primo profilo verrà descritta la delibera in quanto tale, la sua efficacia, i suoi vizi; sotto il secondo profilo, per lo più, si analizzerà la delibera nella sua formazione e, in definitiva, come deve, o come dovrebbe, essere.
Come si è avuto occasione di affermare, nella parte iniziale, il sistema maggioritario, nei diritti reali, rappresenta un eccezione all'assolutezza del diritto di proprietà e degli altri diritti minori;prima, infatti, dell'approvazione della legge del 1935, non era possibile decidere a maggioranza per cui, nel caso si dovesse prendere una decisione e anche un solo condomino non fosse stato d'accordo, gli altri avrebbero dovuto portare il singolo in giudizio e dimostrare le proprie ragioni, al fine di obbligarlo a tenere il comportamento effettivamente lecito. Con l'introduzione del principio maggioritario, il diritto del singolo ad amministrare i propri beni (intendendosi tra questi anche le parti comuni dell'edificio) viene affievolito ad una sorta di interesse legittimo, in quanto l'amministrazione viene demandata ad un corpo collegiale, appunto l'assemblea, che decide a maggioranza e nella quale il singolo interviene esclusivamente col proprio voto.
Con la delibera, a questo punto, si salta tutta la fase dell'istruttoria giudiziaria, per cui ogni decisione che viene presa a maggioranza è vincolante per tutti i condomini e sussiste presunzione di legittimità per cui il singolo che riterrà di essere stato leso nei propri diritti sarà tenuto ad impugnare la delibera nanti l'Autorità Giudiziaria entro trenta giorni dalla decisione (se presente) o dalla comunicazione (se assente).
Nel caso, ad esempio, si fosse resa necessaria l'esecuzione di un lavoro, prima della legge sul condominio, anche un solo condomino avrebbe potuto inchiodare tutti gli altri, i quali si sarebbero dovuti onerare di ricorrere al Giudice, che avrebbe verificato, tramite un perito, la effettiva necessità dei lavori, la loro entità, la spesa, e la ripartizione; con l'introduzione del principio maggioritario, decide la maggioranza quando i lavori sono necessari, la spesa e la relativa ripartizione; viene cioè scavalcata tutta la fase istruttoria giudiziaria; il ricorso all'Autorità Giudiziaria è necessario esclusivamente in caso di mancato pagamento e allo scopo della richiesta del decreto ingiuntivo, emesso peraltro sulla base della delibera e della ripartizione di spesa; in questo modo tutta l'attività istruttoria è eliminata e devoluta all'assemblea.
Il ricorso in impugnazione da parte del dissenziente, peraltro, è ammissibile solo per motivi di legittimità (violazione di legge, regolamento o eccesso di potere) ma non può incidere sul merito o sulla discrezionalità della decisione dell'assemblea (Cass. Sent. 1165 del 11/2/99).
I vizi della delibera e i rimedi L'assunto secondo il quale la delibera debba venire impugnata entro trenta giorni, in mancanza di che non si potrà più intervenire, non deve essere interpretata in maniera assoluta; è evidente che ritenere non più modificabile un atto preso a maggioranza potrebbe dare luogo a gravi problemi, anche di ordine pubblico.
La giurisprudenza ha pertanto mutuato, dalla disciplina del contratto, gli istituti dell'annullabilità e della nullità; di queste due tipologie di delibere, solo quelle definite dalla giurisprudenza annullabili, sono sottoposte al termine dei trenta giorni, mentre quelle definite nulle sono impugnabili da chiunque abbia interesse (anche se dapprima favorevole come da Cass. n. 14037 del 14/12/99) e l'impugnazione non è sottoposta al termine di decadenza di trenta giorni. L'impugnazione si propone nanti l'Autorità Giudiziaria, a mezzo atto di citazione o ricorso (in giurisprudenza generalmente si ammettono entrambi gli atti introduttivi) entro trenta giorni che decorrono dalla decisione, se il condomino è presente e dissenziente (ma oggi si ammette che possa impugnare anche il condomino astenuto, come da Sent. Cass. n. 129 del 9/1/99), se assente dalla comunicazione della decisione (invio del verbale).
Le conseguenze dell'annullamento dell'atto, anche se l'azione è stata esperita da uno solo,sono estese a tutti i condomini (Cass. Sent.n. 852 del 26/1/00). Per espressa disposizione di legge (art. 1137 c.c.) l'impugnazione non impedisce l'esecuzione della delibera a meno che l'esecutività non sia provvisoriamente sospesa dall'Autorità Giudiziaria. Nell'ipotesi di nullità radicale, al contrario, l'amministratore dovrà esimersi dal porre in esecuzione la delibera anche qualora non venga impugnata, atteso che l'eventuale sentenza di annullamento, avendo valore meramente dichiarativo e non costitutivo, ha efficacia ex nunc (dal momento in cui la delibera è stata presa).
Sull'amministratore incombe pertanto l'onere di apprezzare quale delibera possa intendersi nulla o annullabile, ai fini della sua esecuzione. In passato, la valutazione rivestiva una certa complessità, in quanto la giurisprudenza non era uniforme, atteso che erano considerate, per lo più nulle, le delibere prese in occasione di assemblee nelle quali un condomino non era stato convocato, nelle quali una o più spese erano ripartite in parti uguali. Oggi la Cassazione limita la nullità delle delibere, al più, a tre fattispecie:
1)-Se hanno oggetto impossibile o illecito;
2)-Se l'oggetto non rientra nella competenza dell'assemblea
3)-Se incidono su diritti individuali inviolabili per legge.
Il primo punto sanziona la nullità delle delibere prese in contrasto con norme imperative di ordine pubblico; la nullità non può essere messa in discussione, in quanto l'illiceità colpisce interessi dello stato e non dei privati, per cui si può parlare di nullità radicale assoluta.
Sono norme imperative di ordine pubblico quelle penali, i regolamenti amministrativi, le norme sulla sicurezza o quelle fiscali; le delibere aventi oggetto impossibile rappresentano un "caso di scuola" proprio in quanto la categoria è stata mutuata dal contratto, per cui non si rinviene in giurisprudenza, il ricorrere di detta fattispecie. Del secondo ordine di nullità si è parlato in occasione dell'esame dell'organo assemblea, in relazione alle sue competenze; il terzo ordine rappresenta, per lo più anch'esso un caso di scuola. Le ultime due pronunzie della S.C. richiamate, invero, stabiliscono i confini della nullità, dichiarando la semplice annullabilità delle delibere che presentino irregolarità formali, comprese due fattispecie che, in un passato recente, erano considerate ipotesi di nullità, ovvero la mancata convocazione di un condomino e la deliberazione con maggioranze inferiori a quelle di legge.
Le SS.UU. si sono pronunciate, con la sentenza n. 4421 del 27/02/2007, escludendo che il decreto ingiuntivo emesso sulla base di un provvedimento viziato (delibera nulla o annullabile) possa validamente essere opposto senza preventiva impugnazione della delibera; a detta della Corte, infatti, il sistema legislativo previsto in materia condominiale contempla un'ipotesi speciale diretta ad una pronta gestione del caseggiato, a differenza di quanto avvenga negli altri casi ove può essere impugnato il rapporto che ha dato origine all'obbligazione (ad esempio un contratto) mediante opposizione del decreto ingiuntivo; in materia condominiale solo l'impugnazione e l'annullamento della delibera può estinguere l'obbligazione e l'eventuale annullamento o declaratoria di nullità del titolo assembleare fa decadere automaticamente il decreto ingiuntivo ancorché non opposto.
Se l'impugnazione possa venire con atto di citazione o con ricorso è stato oggetto di lungo dibattito, fino a che le Sezioni Unite si sono pronunciate a favore della citazione ritenendo, peraltro, equipollente il ricorso.
La nuova legge ha stabilito che solo la citazione è idonea a interrompere il termine mensile di decadenza, mentre il ricorso per la sospensiva deve essere sempre seguito o accompagnato dalla citazione; il motivo è semplice; il legislatore ha voluto escludere che, attraverso l'introduzione del ricorso (che è assimilabile ad una procedura cautelare) il condomino dissenziente (e, oggi, anche astenuto) possa eludere l'obbligo di preventivo tentativo di mediazione obbligatoria.
Con l'esame della delibera, sotto il profilo del procedimento (Gatto P. "la delibera condominiale tra provvedimento e procedimento", in Archivio delle Locazioni gennaio 2007 n. 1), si tende a sezionare l'atto nel suo sviluppo temporale, al fine di evitare l'introduzione di elementi che possano comportare vizi; in precedenza si è detto che lo studio della delibera come procedimento descrive la delibera non come è ma come deve o dovrebbe essere, proprio ne senso della eliminazione di ogni occasione di illegittimità. Nel suo sviluppo, la delibera si può dividere in tre fasi: atto introduttivo, l'istruttoria e la decisione.
L'atto introduttivo della delibera è costituito dall'avviso di convocazione. L'avviso di convocazione è l'atto promotore della delibera e, mentre dal punto di vista procedurale, è dato proprio dall'atto di convocazione, dal punto di vista sostanziale è dato dall'oggetto della decisione che è il punto all'ordine del giorno. Naturalmente, un unico atto di convocazione potrà contenere diversi punti all'ordine del giorno, atti introduttivi di altrettante delibere anche se, dal punto di vista della procedura degli atti, saranno contenute in un'unica assemblea. L'atto introduttivo deve venire recapitato a tutti i condomini.
Sul fatto dell' obbligo di comunicazione a tutti i condomini vi è poca chiarezza. Dal punto di vista dell'assemblea, questa non è valida se non si dà atto che tutti i condomini sono stati convocati, dal punto di vista del procedimento di delibera (sostanziale) coloro che si trovano in posizione di conflitto di interessi o di difetto di interesse (e che pertanto non devono concorrere al voto) potrebbero anche non essere chiamati; pensiamo all'ipotesi di controversia giudiziaria; chiamare il condomino avversario del condominio comporterebbe la sua presenza nel momento in cui venissero discusse questioni relative alla difesa e, quindi, riservate.
Sull'obbligo di completezza dell'ordine del giorno vi è una copiosa giurisprudenza della Cassazione che, per lo più, enuncia principi di diritto con minimo contenuto, da integrarsi da parte del Giudice di merito. Così Cass. 11526/99: la completezza dell'ordine del giorno è demandato all'apprezzamento del giudice di merito....Cass. 3634/00...è necessario che l'avviso di convocazione elenchi, sia pure in nodo non analitico e minuzioso...si da far comprendere i termini essenziali...l'accertamento della completezza è demandato all'apprezzamento del giudice di merito....
Circa la modalità di convocazione, la giurisprudenza non contempla formule sacramentali, in quanto la comunicazione può essere data con qualsiasi mezzo idoneo a raggiungere lo scopo, anche con la dimostrazione (a mezzo presunzione che il condomino controlli assiduamente la cassetta della posta) dell'avvenuto inserimento dell'avviso nella stessa da parte dell'amministratore o di suo delegato (Cass. S. 875 del 3/2/99).
L'onere di provare il recapito spetta al condominio, il quale non può dimostrare l'avvenuta consegna al destinatario, se il recapito è avvenuto a mani di persona priva di stabile potere di rappresentanza (Cass. 2837 del 25/3/99); naturalmente, la consegna del portalettere a famigliare convivente, presso la residenza del destinatario, è idonea allo scopo (anche in quanto così contempla la normativa sulle poste) (Cass. 4352 del 29/4/99).
L'istruzione è quella fase in cui vengono raccolte tutte le informazioni necessarie a decidere circa i punti all'ordine del giorno. Vi è una fase extra assembleare, o preparatoria, che può essere demandata all'amministratore, ai singoli condomini o ai consiglieri, ed una fase, necessaria, di valutazione, all'interno dell'assemblea.
Sono normalmente documenti necessari all'istruttoria i preventivi, i consuntivi e riparti di spesa, i capitolati di lavori, i preventivi delle ditte, i pareri legali e tecnici e, in genere, tutti quegli atti idonei ad apportare informazioni utili alla decisione.
La fase istruttoria, anche se nessuno è portato a rilevarlo, è una fase critica, in quanto le più odiose sperequazioni iniziano in un'istruttoria imperfetta e deviata e si perfezionano con una decisione priva di motivazione. Si è detto in precedenza, che con la delibera assembleare si è eliminata tutta la fase dell'istruttoria giudiziale; la legge, peraltro, non impone un obbligo di motivazione che colleghi logicamente le risultanze istruttorie con la decisione finale; tale fatto è grave, in quanto ogni atto (sia esso provvedimento giudiziario che amministrativo) è obbligatoriamente motivato, mentre non è necessaria alcuna motivazione nelle delibere assembleari, rendendo così, di fatto, impossibile, procedere alla valutazione giudiziaria dell'esistenza di un eccesso di potere per deviazione.
La decisione è quella fase in cui, attraverso il voto, l'assemblea sceglie la soluzione più opportuna al fine della risoluzione della questione posta all'ordine del giorno. La giurisprudenza ha assunto un orientamento, secondo il quale, sia annullabile quella delibera che non riporti i nomi dei votanti, i relativi millesimi e le espressioni di voto (Cass. Sent. 810 del 29 gennaio 1999) e ciò in quanto non sia possibile individuare il condomino astenuto e eventuali conflitti di interesse.
Come già in precedenza riferito, non sussiste alcun obbligo di motivazione, anche se sarebbe sempre utile, in presenza di più soluzioni alternative, motivare quella prescelta, non solo al fine di limitare il numero delle impugnazione ma, soprattutto, al fine di perseguire una linea senz'altro più giusta e trasparente di quanto consenta la legge attualmente.
L'esecuzione della delibera è atto che spetta all'amministratore, il quale si deve basare su quanto riportato sul verbale, il quale assume il valore, per così dire, di titolo esecutivo; per questo motivo è opportuno, che l'amministratore si astenga dal redigere il verbale, anche se sottoscritto da altra persona (che assume la carica di segretario).
Il codice civile prende in considerazione una serie di competenze tipiche dell'assemblea condominiale al fine precipuo di enunciare le maggioranze necessarie. L'elenco, peraltro, non è esaustivo, per cui l'assemblea può normare per qualsiasi argomento riguardo alla ordinaria amministrazione, nei limiti di cui si è già parlato sopra.
Le delibere tipiche più frequenti nella pratica sono le seguenti: Approvazione bilancio consuntivo, preventivo e ripartizione: La maggioranza necessaria è quella ordinaria (un terzo dei condomini/un terzo della proprietà). Nomina e revoca dell'amministratore e suo compenso: Maggioranza qualificata (maggioranza degli intervenuti che rappresenti la metà della proprietà).
La maggioranza è necessaria sia in caso di nuova nomina che di riconferma. Decisioni circa le liti attive e passive: Maggioranza qualificata; peraltro, deve ritenersi applicabile alle sole materie che non siano di competenza esclusiva dell'amministratore, per i quali casi non è necessaria alcuna maggioranza, in quanto l'A. ha il dovere di agire o difendersi e tale attribuzione rappresenta un atto dovuto nei confronti di ciascun condomino.
Secondo certa giurisprudenza, nelle materie attribuite all'amministratore dall'art. 1130, non è possibile, per il condomino dissenziente, dissociarsi dalla lite, essendo tale controversia, necessaria alla conduzione legittima del caseggiato. La dissociazione vale nelle materie di competenza assembleare (o comunque non attribuite all'A.); in tali ipotesi, la dissociazione va notificata all'amministratore entro trenta giorni dalla comunicazione della lite.
Le Sezioni Unite, con la Sentenza n. 18332 del 06/08/2010, hanno risolto il conflitto giurisprudenziale sulla legittimazione in giudizio dell'amministratore; erano, infatti, presenti due orientamenti giurisprudenziali: secondo l'orientamento maggioritario, l'amministratore era legittimato ad agire e difendersi in giudizio senza preventivo assenso dell'assemblea in ogni caso, per cui l'eventuale responsabilità rappresentava un fatto meramente interno, secondo l'orientamento minoritario, al contrario, l'amministratore non era legittimato ad agire o resistere in giudizio senza preventivo assenso dell'assemblea se non nelle materie espressamente indicate nell'art. 1130 c.c. .
Le SS.UU. hanno accolto l'orientamento minoritario per cui l'amministratore che agisce o si difende in giudizio senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale, nelle materie escluse dall'art. 1130 c.c., non solo può rispondere, in caso di esito sfavorevole, per danni ai condòmini, ma la sua costituzione in giudizio è inammissibile per difetto di legittimazione processuale (salvo ratifica dell'assemblea, anche successiva).
Lavori di rilevante entità: Maggioranza qualificata.
Per quanto riguarda il riconoscimento di tali tipologie di lavori, la giurisprudenza ha avuto occasione di affermare (Cass. 810/99) che al fine di valutare se un lavoro possa definirsi di rilevante entità, il giudice deve basare la propria valutazione, oltre che sulla spesa in sé, anche sul rapporto tra questa e valore dell'edificio e sulla singola quota che il condomino, in media, è tenuto a corrispondere.
Innovazioni: Maggioranza qualificata speciale (maggioranza dei condomini che rappresentino i due terzi della proprietà).
Per innovazioni, riguardo alla parte dinamica, si intendono quelle opere che risultino migliorative e non conservative. La giurisprudenza riconosce che l'innovazione, entro certi limiti, cambi la destinazione del bene oggetto di intervento, per cui non qualsiasi intervento migliorativo è innovazione in senso tecnico (Cass. Sent. N. 11936 del 23/10/99).
Sussiste sempre il limite dell'innovazione vietata che ricorre quando viene sottratto l'utilizzo di una parte comune non compensato da un miglioramento del servizio. Destinazioni gravose e voluttuarie (riguardo alla loro individuazione ci si deve basare sulla tipologia dell'edificio, in relazione sia alla spesa che alla opportunità dell'opera)non possono essere imposte al condomino dissenziente, il quale può rifiutare la contribuzione.
Regolamento di condominio: Maggioranza qualificata;
il regolamento di cui all'art. 1138 c.c. è quello assembleare. Può normare soltanto su materia relative a: ripartizione delle spese sulla base dei diritti effettivi dei singoli, amministrazione in genere (tempi di convocazione,chiusura bilancio, ammissibilità di deleghe ecc.),modalità d'uso delle parti comuni, decoro architettonico.
Il regolamento cosiddetto contrattuale, è cosa diversa da quello di cui all'art. 1138; è approvato all'unanimità dei condomini o viene accettato al momento dell'acquisto dell'immobile, mediante menzione sull'atto di trasferimento della proprietà; può normare su questioni relative a proprietà esclusive, sicché non sia applica, a rigore, la disciplina condominiale, ma quella sul contratto. Il regolamento contrattuale, oltre che alle materie di cui all'art. 1138 c.c (materie definite regolamentari e modificabili a maggioranza qualificata, anche se contenute in regolamento contrattuale) può contenere: norme che attribuiscono proprietà o diritti reali a singoli o a gruppi di condomini, oppure norme che dispongono oneri reali o obbligazioni propter rem a carico di singole unità immobiliari.
La giurisprudenza ritiene che neppure il regolamento contrattuale possa derogare agli articoli del codice civile relativi alla costituzione dell'assemblea ed alle maggioranze relative alle delibere.Le disposizioni non regolamentari di cui sopra, possono essere introdotte o modificate solo all'unanimità.
In relazione alle innovazione, la nuova legge ha introdotto tre tipologie di innovazioni per le quali è sufficiente la maggioranza qualificata (quella per i lavori straordinari e per la nomina dell'amministratore per intenderci; le innovazioni speciali riguardano:
- 1) Opere ed interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità (nel caso di obblighi di legge già in precedenza non era imposta la maggioranza qualificata speciale);
2) opere ed interventi diretti ad eliminare le barriere architettoniche e per il contenimento del consumo energetico, per i parcheggi e per la produzione di energia alternativa (esistono, comunque, già leggi speciali soprattutto in relazione al contenimento del consumo, per le barriere architettoniche e per i parcheggi);
3) Installazione di impianti per la ricezione televisiva e similari.
In relazione a queste tipologie di innovazioni, l'amministratore che riceva la richiesta anche da parte di un solo condomino, è tenuto a convocare l'assemblea entro trenta giorni. Naturalmente, si consiglia l'istruzione delle procedure assembleare attraverso l'assistenza di tecnici specializzati nelle diverse materie.
E' da rilevare che la riforma prevede che, in caso di lavori di rilevanti entità e di innovazioni, l'assemblea debba precostituirsi un fondo pari all'entità dei lavori. La mancata osservanza può determinare l'annullabilità della delibera.
Gli atti dell'amministratore hanno una rilevanza interna meno marcata di quelli dell'assemblea, atteso che l'Amministratore è carica per lo più esecutiva; possiamo distinguere tra gli atti dell'amministratore da definirsi autonomi da quelli da definirsi esecutivi.
Atti autonomi: gli atti autonomi dell'amministratore sono quelli presi non in esecuzione di una delibera (o quelli di cui al punto 4 dell'art. 1130, che sono, comunque, vincolati), ma quelli assunti a discrezione dell'amministratore stesso; senz'altro il potere più rilevante è quello di convocare l'assemblea straordinaria, che è un potere autonomo dell'amministratore; meno efficaci sono i poteri di ordinanza riconosciuti nel codice civile, atteso che l'ordine dell'amministratore non è, di fatto, eseguibile senza l'intervento di un giudice e che, comunque, incidendo, per lo più, su comportamenti di fatto, anche l'eventuale pronuncia di un magistrato potrebbe rimanere lettera morta.
Atti esecutivi: gli atti esecutivi, sono quelli obbligatori (atti di cui all'art. 1130) e, soprattutto, tra questi, quelli relativi alle esecuzioni di delibere assembleari. Le modalità di esecuzione di tali compiti e l'organizzazione dell'ufficio formeranno oggetto di un separato lavoro.
A cura di Avv. Paolo Gatto
Ebook: Il condominio nel codice civile, (Prima parte)
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