L'art. 4 della Costituzione tutela il lavoro; come è noto, la Consulta ha più volte affermato che detta norma presenta rilevanza meramente programmatica, per cui non solo non sono censurabili le leggi che si pongano in contrasto con l'occupazione, ma non viene neppure conferito un diritto soggettivo al lavoro. A ben vedere, peraltro, il sistema improntato dalle istituzioni al raggiungimento delle massima occupazione confligge apertamente con il sistema fiscale.
La Costituzione, infatti, prevede che l'imposizione sia progressiva e ciò si risolve, nella normativa tributaria, nel noto sistema a “scaglioni di reddito”; il sistema a scaglioni prevede una maggiore quota percentuale di imposizione su ogni scaglione di maggior reddito. Detta impostazione postula che l'Amministrazione Finanziaria abbia tutto l'interesse ad eliminare i piccoli contribuenti a favore di pochi grandi contribuenti sui cui redditi applicare aliquote maggiori e ciò si risolve in condotte particolarmente deteriori nei confronti dei piccoli contribuenti (presunzioni di reddito accertamenti sulla base di medie, studi di settore ecc.).
Come dire, la mano destra non sa cosa fa la sinistra; sta di fatto che coloro che vengono esclusi dal mercato del lavoro autonomo, verranno a pesare sul sistema sociale, ma c'è di più.
Ormai tutti o quasi siamo a conoscenza che la guerra civile americana per l'abolizione della schiavitù non è stata determinata dai principi etici conclamati, ma vedeva il contrapporsi di due economie, delle quali, una, industriale e vincente, era ben conscia che sfruttare il lavoratore fino a che era possibile senza curarsi della sua salute e della sua vecchiaia, assicurasse più utili che fornire di che vivere allo schiavo e curarne la famiglia.
Successivamente, le lotte dei lavoratori hanno migliorato la situazione dei dipendenti.
Oggi, peraltro, è il lavoratore autonomo, a concludere il percorso dell'affrancamento e a costituire la parte più debole del sistema economico.
Oggi siamo tutti a conoscenza che le professioni intellettuali, quale l'amministratore di condominio, costituiscono un serbatoio per la disoccupazione e che la forte concorrenza spinge allo sfruttamento del professionista.
Lo Stato, come avveniva nella prima industrializzazione, parteggia apertamente per la grossa impresa e, in nome della libera concorrenza, vieta ogni accordo diretto a garantire un trattamento economico dignitoso (come prevede, invece, l'art. 36 della Costituzione e come presume il fisco).
Così si inneggia al diritto alla salute ed alla sicurezza, ma nessuno si preoccupa se un amministratore si ammala perché lavora quindici ore al giorno per sopravvivere, con compensi irrisori, o se quando è costretto a casa per malattia non ha alcuna copertura.
Il fatto è che l'opinione comune considera ancora il professionista come uno che esercita una scelta, mentre oggi l'accesso alle professioni è, sempre più, un'alternativa obbligatoria alla disoccupazione intellettuale.
L'impegno della nostra associazione è anche quello di sensibilizzare la cittadinanza al rispetto del lavoro dell'amministratore ed alla censura di ogni forma di sfruttamento.
Paolo Gatto
Presidente Nazionale ALAC