L’art. 61 delle disp. att. Codice Civile dispone che, qualora un edificio o un gruppo di edifici, appartenenti per piani o porzioni di piani a proprietari diversi, si possa dividere in parti che abbiano caratteristiche di edifici autonomi, il condominio possa essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possano costituirsi in condominio separato…lo scioglimento è deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell’art. 1136 del codice o è disposto dall’autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte di edificio della quale si chiede la separazione.
Il problema più ricorrente, in giurisprudenza, riguarda la legittimazione passiva, in giudizio, dell’amministratore, qualora i comproprietari della parte che intende separarsi si rivolga al magistrato.
Di recente, la Cassazione (Sez. II, 23/01/2008 n. 1460), si è pronunciata nel senso che non sussista legittimazione passiva dell’amministratore a rappresentare il condominio in ipotesi di divisione giudiziale ma la parte (almeno un terzo) dei condomini che richiede la separazione e la costituzione di nuovo condominio, dovrà convenire in giudizio tutti gli altri condòmini dell’intero complesso singolarmente (come avviene per la redazione delle tabelle millesimali).
Secondo la S.C., infatti, lo scioglimento del condominio determina la perdita del diritto di proprietà su talune cose, servizi ed impianti da parte di alcuni dei partecipanti al condominio originario, con conseguente modificazione proporzionale del diritto di godimento sulle cose comuni e del correlativo obbligo di partecipazione alle spese.
L’amministratore, in quanto privo di un diritto, all’interno del condominio, è privo di legittimazione passiva nel giudizio per lo scioglimento giudiziale, mentre l’assemblea ha sola competenza di accettare, al di fuori del giudizio, la richiesta di scioglimento.
La decisione desta perplessità per diversi motivi: in primo luogo non dovrebbe intervenire modifica nell’attribuzione delle spese, atteso che sussiste la condizione, alla divisione, a che i condomìni presentino già inizialmente caratteristiche di edifici autonomi, per cui le spese dovevano già, per principio, fare capo distintamente ai singoli gruppi di condomini (art. 1123 u.c. C.C.; inoltre, le parti che rimanessero asservite alle unità immobiliari di entrambi i condomìni rimarrebbero in supercondominio e, pertanto, resterebbero comuni, come comuni resterebbero le spese.
In secondo luogo è da determinare se, effettivamente, la separazione dei condomìni intervenga a livello di diritto reale, ovvero con effettiva separazione anche della proprietà del suolo su cui insistono gli edifici in diversi mappali (particelle catastali) distinti, ovvero se la divisione intervenga a mero titolo gestorio, con la previsione di diverse amministrazioni e gestioni (amministratori, assemblee, contabilità separate) ma lasciando immutati i rapporti relativi ai diritti reali (parte statica) per cui non sussisterebbe alcuna variazione sui titoli o sulle spese se non in relazione alla loro procedura di riscossione e di erogazione.
La Cassazione, chiaramente, si è espressa eligendo la prima delle due soluzioni ma, in questa ipotesi, sorgono seri dubbi sulla costituzionalità dell’art. 61 disp. att. C.C. nella parte in cui consente all’assemblea (o al giudice) di assumere un provvedimento ablatorio a carico di quei condòmini che si oppongono all’alterazione degli equilibri originari dei diritti reali nel caseggiato.
Paolo Gatto