Regolamento di condominio, natura e genesi
Una recente sentenza della Cassazione, la n. 5626 del 18 aprile 2002,
ha confermato l'orientamento, peraltro ormai consolidato, circa le modalità
di modifica del regolamento di condominio, sottolineando la differenza tra regolamento
di origine contrattuale e regolamento di natura contrattuale.
In realtà, nonostante l'uniformità di indirizzi all'interno della
S.C., tra gli operatori del settore ed i cittadini la questione non è ancora
del tutto chiara.
Prima di passare all'analisi della questione, è necessario procedere ad
un veloce esame delle due tipologie regolamentari.
L'art. 1138 c.c. disciplina il regolamento di condominio. L'articolo di
legge ne prevede l'obbligo nei condomini con un numero di condomini superiore
a dieci (nel caso manchi e l'assemblea non lo approvi, il condomino potrà
rivolgersi al Tribunale in sede non contenziosa ai sensi dell'art. 1105 c.c.),
ne prevede l'approvazione, da parte dell'assemblea, con la maggioranza qualificata
di cui all'art. 1136 2° comma (maggioranza degli intervenuti che rappresenti
almeno la metà dei millesimi complessivi) e ne contempla l'ambito di azione,
ovvero: disciplina dell'uso delle parti comuni, ripartizione delle spese secondo
i diritti e gli obblighi di ciascun condomino (valore delle singole proprietà
in millesimi), norme sul decoro dell'edificio e norme sull'amministrazione (tempistica
e svolgimento delle assemblee, dei bilanci, numero massimo di deleghe, consiglio
di amministrazione ecc.).
Per espressa disposizione di legge, il regolamento non può menomare
i diritti di ciascun condomino, pena la nullità delle clausole; la
genesi assembleare, infatti, limita l'attività delle disposizioni alle
gestione delle parti comuni, escludendo ogni ingerenza in parti private o limitazione
di diritti.
Accanto al regolamento assembleare di cui all'art. 1138 c.c., non espressamente
contemplato dalla legge, ma persino cronologicamente anteriore alla normativa
del 1934 (legge sul condominio) poi inserita, con modifiche, nel codice civile
del 1942, è il regolamento di origine contrattuale. Questo si forma
per volontà unanime dei condomini o viene approvato "per relationem"
in quanto richiamato nei singoli atti di acquisto.
Una recente sentenza (Cass.11684/00) ha chiarito le materie che solo un
regolamento contrattuale può contenere:
- imposizione di pesi a favore di proprietà a carico di altre (servitù), le quali devono necessariamente essere trascritte alla conservatoria dei registri immobiliari,
- prestazioni di condomini a favore di altri (oneri reali),
- imposizioni di limiti al godimento di unità immobiliari (obbligazioni propter rem, quali i divieti ai tenere animali o di adibire l'appartamento a determinate attività).
La convinzione dei più è che, a differenza di quanto
avvenga per il regolamento assembleare che può essere modificato a maggioranza,
il regolamento contrattuale possa essere modificato solo all'unanimità.
Invero, la sentenza n. 5626/02, ha ribadito che soltanto le clausole relative
alle materie effettivamente di natura contrattuale (quelle di cui alla
s. 11684/00) richiedano, per la modifica, l'unanimità, mentre per la modifica
di quelle cosiddette regolamentari (contemplate dall'art. 1138 c.c.) sia
sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 2° comma c.c.,
ancorché contenute in un regolamento di origine contrattuale.
Da quanto sopra discende che non sempre, qualora in un condominio sia vigente
un regolamento contrattuale, sia necessaria, per la modifica, l'unanimità,
essendo questa necessaria solamente per la modifica di quelle clausole che attribuiscano
facoltà o oneri maggiori ai singoli, mentre per le norme ordinarie
(ad esempio quelle sull'utilizzo delle parti comuni) è sufficiente, ai
fini della modifica, la maggioranza qualificata.
Articolo del 24 giugno 2002Avv. Paolo Gatto
Consulente legale A.P.P.C.
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